Il rapimento della modella inglese a Milano

Lo ha rivelato ieri il Corriere della Sera, che oggi aggiunge altri dettagli a una storia brutta e misteriosa

La foto di una simulazione effettuata dalla polizia (LaPresse - Claudio Furlan)
La foto di una simulazione effettuata dalla polizia (LaPresse - Claudio Furlan)

Il 5 agosto Luigi Ferrarella ha raccontato sul Corriere della Sera la storia di una modella inglese di 20 anni che è stata rapita a Milano dopo essere stata attirata per un finto set fotografico. L’obiettivo dei suoi sequestratori, secondo l’accusa, era quella di “metterla all’asta” su siti internet piuttosto loschi. La donna è stata rapita vicino alla stazione centrale di Milano e tenuta prigioniera dall’11 al 17 luglio. Ferrarella ha scritto che la ragazza è stata rilasciata in anticipo “da un suo carceriere anglo-polacco”, dopo che ha scoperto che aveva un figlio: secondo le “regole” del circolo dei sequestratori, infatti, una donna che ha un figlio non poteva essere rapita. L’uomo è stato arrestato il 17 luglio, subito dopo aver liberato la modella. Oggi Ferrarella ha scritto un nuovo articolo sul sequestro, aggiungendo ulteriori dettagli:

«Mi é stata diagnosticata la leucemia» (ma non fa i nomi dei dottori in grado di documentarlo), «e tre rumeni di Birmingham, di cui non so il nome, mi hanno affidato 500.000 sterline (so dove li custodisco ma non lo voglio dire) per affittare locali commerciali a Monaco, Parigi, Berlino, Marsiglia e Milano»: poi, però, «quando ho visto» che nel locale di Milano «avevano messo all’asta la ragazza» rapita, «l’ho liberata perché non sono d’accordo con queste cose. Le mail del riscatto partite dal mio computer? Le ho scritte io ma obbligato dai romeni». Non è una gran difesa quella offerta sinora dal 30enne polacco Pavel Lukas Herba, l’unico sinora arrestato dei rapitori della 20enne modella inglese che nel finto set fotografico affittato dall’uomo vicino alla Stazione Centrale di Milano, in via Bianconi 7, dall’11 al 17 luglio ha trovato l’inizio di un incubo: «Una persona con i guanti neri da dietro mi ha messo una mano sul collo ed una sulla bocca», mentre «una seconda persona con un passamontagna nero mi ha fatto un’iniezione nel braccio destro» (pericolosissima ketamina, diranno le analisi): «Credo di aver perso conoscenza perché, quando mi sono ripresa, avevo indosso unicamente il body rosa in ciniglia e i calzini che indosso ora, e ho capito di trovarmi nel baule di un’auto, legati polsi e caviglie, sulla bocca nastro adesivo, messa in un sacco che solo per un piccolo spiraglio mi consentiva di respirare».

La giovane, di cui qui si continueranno a non indicare né il nome né l’agenzia destinataria della prima richiesta di riscatto, racconta ai poliziotti della Squadra Mobile e dello Sco, coordinati dai pm Ilda Boccassini e Paolo Storari, e al suo avvocato Francesco Pesce, di aver percepito cinque sequestratori nei vari giorni, ma di averne visti solo due, a partire dal viaggio di quasi tre ore nel bagagliaio di una station wagon verso un casolare di montagna a Lemie (frazione torinese di Borgial, verso il confine con la Francia), ieri riconosciuto in un sopralluogo. Tre soste ogni circa 45 minuti «a causa dei miei continui lamenti e movimenti nel sacco», con uno degli incappucciati che da una bottiglia le butta «acqua gasata direttamente nella bocca».Nel casolare «i due mi hanno agganciato le manette dei piedi e delle mani alla cassettiera, ero costretta a restare sul pavimento in un sacco a pelo».

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