Le condanne per “_____ capitale”

Massimo Carminati e Salvatore Buzzi sono stati condannati a 20 e 19 anni, ma la sentenza su “Mafia Capitale” ha respinto l’accusa di associazione mafiosa

Il giudice Rossana Ianniello che ha presieduto la corte che giudicato sul caso (Vincenzo Livieri - LaPresse)
Il giudice Rossana Ianniello che ha presieduto la corte che giudicato sul caso (Vincenzo Livieri - LaPresse)

Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia sono state lette oggi le condanne decise dai giudici della decima sezione penale di Roma per i 46 imputati nel primo grado del cosiddetto processo per “Mafia Capitale”, iniziato nel novembre del 2015 a circa un anno dai primi arresti. Le accuse sono di associazione a delinquere, estorsione, turbativa d’asta e corruzione. I due imputati principali, Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, sono stati condannati rispettivamente a 20 e 19 anni di reclusione: tuttavia per loro e per gli altri imputati condannati è caduta l’accusa di “associazione di stampo mafioso”, che riguardava 19 imputati su 46. Carminati ha detto al suo avvocato di essere soddisfatto dalla sentenza, mentre Buzzi ha detto che, in seguito alla sentenza, si aspetta di essere scarcerato in attesa del processo d’appello. Per loro la procura aveva chiesto rispettivamente 28 anni e 26 anni e tre mesi.

Quella di associazione mafiosa era l’accusa più grave e intorno a cui ruotavano gran parte delle accuse e il nome stesso dell’inchiesta “Mafia capitale”. Tra gli altri imputati, l’ex presidente del Consiglio comunale di Roma Mirko Coratti è stato condannato a 6 anni di carcere, mentre è stato condannato a 10 anni Franco Panzironi, l’ex amministratore delegato di Ama, l’azienda dei rifiuti di Roma. Cinque imputati sono stati assolti: Rocco Rotolo, Salvatore Ruggiero, Giuseppe Mogliani, Fabio Stefoni e l’ex direttore generale di AMA, l’azienda che si occupa dei rifiuti di Roma, Giovanni Fiscon. In tutto, i giudici hanno dimezzato il totale di anni di carcere chiesto dalla procura: da circa 500 a 250 anni.

L’inchiesta giudiziaria conosciuta come “Mondo di mezzo” o “Mafia Capitale” era cominciata nel dicembre del 2014 e aveva portato all’arresto di decine di persone per una presunta associazione mafiosa composta principalmente – ma non solo – da esponenti politici e dalla criminalità organizzata romana, che controllavano appalti e finanziamenti pubblici con metodi mafiosi. L’inchiesta fu chiamata da subito dai magistrati responsabili “Mafia capitale”, con l’evidente obiettivo di sostenere la tesi che tra le accuse potessero essere sostenute anche quelle legate alle associazioni criminali di tipo mafioso. Il reato al centro dell’inchiesta era appunto l’associazione di stampo mafioso, regolata dall’articolo 416 bis, ed era la prima volta che questa imputazione veniva contestata a persone non appartenenti a organizzazioni con diretto riferimento a mafia, camorra e ‘ndran­gheta: si introducevano cioè le fattispecie di reato regolate dal 416 bis in una situazione che non sembrava avere le caratteristiche tipiche, storiche, usuali, delle associazioni mafiose.

Le accuse legate al reato di associazione mafiosa – criticate da qualcuno già dall’inizio del processo – sono invece via via state smontate: prima con le molte archiviazioni decise lo scorso febbraio per altri 113 imputati in un altro filone del processo – tra cui l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della regione Nicola Zingaretti – e poi con la decisione di oggi dei giudici di Roma, che non hanno riscontrato il reato nemmeno per i due principali imputati e in particolare per Carminati, ritenuto dall’accusa il capo del sistema di tipo mafioso e detenuto nel durissimo regime carcerario del 41bis.

– Luca Sofri: La mafia esiste, appunto