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  • Martedì 6 giugno 2017

Il terzo terrorista di Londra era italo-marocchino

Si chiamava Youssef Zaghba, aveva 22 anni, era già stato indagato per terrorismo internazionale dall'intelligence italiana

Il terzo attentatore di Londra era Youssef Zaghba, nato in Marocco nel gennaio 1995 da padre marocchino e madre italiana, ha confermato la polizia di Londra. Zaghba – che sembra avesse doppia cittadinanza italiana e marocchina – era già noto all’intelligence italiana dopo che nel marzo 2016 era stato fermato all’aeroporto di Bologna mentre era in partenza per la Turchia, da dove si pensava sarebbe andato in Siria per unirsi allo Stato Islamico (o ISIS). Alla polizia di frontiera avrebbe detto: «Sarò un terrorista». Zaghba era stato indagato per terrorismo internazionale, ma le autorità italiane non avevano trovato prove sufficienti per l’incriminazione. L’intelligence, comunque, aveva avvertito della sua pericolosità anche l’antiterrorismo marocchino e britannico, individuando Zaghba come un potenziale “foreign fighter”, un combattente straniero: le autorità britanniche erano state avvisate perché Zaghba si era trasferito a Londra.

Citando fonti di sicurezza italiane, Politico ha scritto che la polizia di Bologna inserì il nome di Zaghba nello Schengen Information System, il database sulla sicurezza dell’Unione Europea. Sempre Politico ha scritto che la polizia britannica aveva svolto dei controlli su Zaghba a gennaio di quest’anno, quando era passato dall’aeroporto londinese di Stansted. Se confermata, la notizia potrebbe mettere ancora più pressione sull’antiterrorismo britannico, che dopo le informazioni ricevute dalle autorità italiane aveva deciso di non considerare Zaghba come un “soggetto di interesse”. Riprendendo queste indiscrezioni, il Times di mercoledì titola in prima pagina: «L’MI5 fu avvisato che l’attentatore “voleva essere un terrorista”».

Prima di essere confermata dalla polizia di Londra, la notizia dell’identificazione di Zaghba era stata data in esclusiva dal Corriere della Sera.

L’identità degli altri due attentatori di Londra era già stata confermata ieri dalla polizia britannica: si chiamavano Khuram Shazad Butt, 27 anni, cittadino britannico nato in Pakistan nella provincia del Punjab, e Rachid Redouane, 30 anni, che aveva origini marocchino-libiche e che cinque anni fa si era trasferito a Dublino, in Irlanda. Tutti e tre gli attentatori sono stati uccisi dalla polizia al Borough Market, dopo che avevano investito con un furgone i pedoni sul London Bridge. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico (o ISIS).

I genitori di Zaghba avevano vissuto insieme fino al 2015 in Marocco, ma dopo essersi separati la madre era tornata a vivere a Castello di Serravalle, a una trentina di chilometri a ovest di Bologna. Zaghba visse in Marocco con il padre fino al gennaio 2016, prima di andare dalla madre in Italia, quando fin da subito cominciò a viaggiare con una certa frequenza da Bologna a Londra. A Londra Zaghba lavorava in un ristorante pakistano e viveva in un quartiere orientale della città, come gli altri due attentatori. Sembra che fosse stato in Italia l’ultima volta lo scorso anno.

Zaghba fu fermato all’aeroporto Marconi di Bologna nel marzo 2016 dalla polizia di frontiera. Secondo i giornali italiani, sua madre – cittadina italiana convertita all’Islam – non aveva idea che il figlio stesse andando in Siria. Repubblica ha scritto che quando Zaghba fu fermato all’aeroporto di Bologna, sua madre ringraziò a lungo la polizia per avere impedito il viaggio. Non è chiaro cosa gli investigatori trovarono sul cellulare di Zaghba dopo il fermo: secondo Repubblica, dei video di propaganda dello Stato Islamico e sermoni religiosi. Zaghba si rivolse a un avvocato che presentò istanza al Tribunale del Riesame; il ricorso fu accolto, perché le prove raccolte non furono considerate sufficienti per confermare le misure cautelari contro di lui e tra le altre cose fu ordinato il dissequestro del suo cellulare e del suo computer. Il fatto che fosse cittadino italiano, inoltre, impedì alle autorità di procedere con l’espulsione, come avviene nei casi di stranieri sospettati di terrorismo.