Le intercettazioni come se niente fosse

Il direttore del Mattino sul vero problema della telefonata tra Renzi e Renzi

Il pubblico ministero Henry John Woodcock (Marco Cantile/LaPresse)
Il pubblico ministero Henry John Woodcock (Marco Cantile/LaPresse)

Il direttore del Mattino Alessandro Barbano ha scritto un editoriale per parlare di quello che secondo lui è il vero problema delle intercettazioni telefoniche, che va oltre quello della loro pubblicazione sui giornali e ha più a che fare con i modi di lavoro della magistratura, che sono sempre meno trasparenti.

A che titolo una procura indaga, senza averne la competenza, riguardo a fatti e ipotesi di reato su cui opera un’altra procura? E a che titolo intercetta, senza indagarle, persone indagate da un’altra procura, per un reato per cui non è consentito disporre intercettazioni? Perché questo è accaduto nell’inchiesta Consip. Il controllo di legalità, funzione suprema della democrazia affidata alla magistratura, a Napoli si è svolto mettendo a rischio la stessa legalità. Questo in troppi, a ogni livello istituzionale, hanno finto di non vedere. Come se il fatto non li riguardasse. Come se tutto fosse opera esclusiva di un maldestro o piuttosto infedele capitano dei carabinieri del Noe. Ma anche adesso che il caso è esploso in tutta la sua gravità, si continua a guardare al dito, ignorando la luna. Dove il dito è la fuga di notizie che ha portato il colloquio privato tra l’ex premier Matteo Renzi e il padre Tiziano sulla prima pagina del “Fatto quotidiano”. Ma diamine, perché stupirsi: da quindici anni a questa parte le intercettazioni disposte da alcuni pm finiscono tutte sui giornali, prima di essere valutate come prove o piuttosto come fango.

Ma c’è anche la luna. La luna è chiedersi come è stata motivata la richiesta del pm napoletano al gip di intercettare Tiziano Renzi, due mesi dopo che l’indagine era stata trasferita a Roma. Chi l’ha autorizzata e perché. Perché Napoli, che indaga ormai solo sugli appalti del Cardarelli, dovrebbe tenere sotto controllo il padre dell’ex presidente del Consiglio. Che non è indagato a Napoli, ma è indagato a Roma senza essere intercettato. E che rapporto ha quest’intercettazione con la famigerata relazione del capitano Scafarto, che fa falsamente dire all’imprenditore Alfredo Romeo di avere incontrato Tiziano Renzi. L’una è servita all’altra? Un falso è presupposto di un abuso, di un illecito, o di cos’altro? Se si fosse precostituita una prova falsa per giustificare e poi diffondere un’intercettazione altrimenti immotivata, ci troveremmo o no di fronte a un reato?
Di questo non si parla e non ci risulta che allo stato s’indaghi. Cosicché la fuga di notizie pare la cosa più grave di cui dolersi. E da cui magari difendersi, tornando a ventilare una stretta sulla diffusione delle intercettazioni, punendo i giornalisti che le pubblicano.

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