• Mondo
  • Mercoledì 29 marzo 2017

Domande e risposte su Trump e il clima

Cosa succederà agli Stati Uniti, al clima e al resto del mondo ora che è stato ordinato lo smantellamento di quasi tutte le politiche di salvaguardia ambientale di Obama

Una protesta contro l'ordine esecutivo di Trump contro le politiche ambientali di Obama davanti alla Casa Bianca, il 28 marzo 2017 (Alex Wong/Getty Images)
Una protesta contro l'ordine esecutivo di Trump contro le politiche ambientali di Obama davanti alla Casa Bianca, il 28 marzo 2017 (Alex Wong/Getty Images)

Il 28 marzo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per cancellare buona parte delle iniziative adottate dall’amministrazione Obama per contrastare il cambiamento climatico. Come nel caso delle tentate modifiche alla riforma sanitaria di Obama, il provvedimento di Trump non avrà effetti immediati e potrebbe essere ostacolato in vari modi, per esempio da alcuni stati particolarmente sensibili alle politiche di difesa ambientale, come la California e lo stato di New York. Per questo le conseguenze dell’ordine esecutivo si vedranno nel tempo, sia per quanto riguarda i livelli di emissioni di gas serra da parte degli Stati Uniti, sia per quanto riguarda le reazioni internazionali alla nuova linea americana sull’ambiente, in contrasto con quella in base alla quale si sono firmati gli accordi sul clima di Parigi del 2015.

Di seguito, cinque risposte alle complesse domande su come evolverà la situazione che potrebbero esservi venute in mente.

Cosa dice esattamente l’ordine esecutivo di Trump?

Un articolo di Vox riassume e spiega le otto cose principali che il provvedimento di Trump implica e queste sono le cinque più importanti. La prima è che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) cercherà di eliminare il Clean Power Plan di Obama: è un insieme di leggi che prevede miliardi di dollari di investimenti per finanziare il passaggio da fonti di energia responsabili dell’emissione di gas serra a fonti di energia pulita, come quella fotovoltaica o quella eolica, stabilisce la chiusura di centrali elettriche a carbone e ha lo scopo di ridurre entro il 2030 i livelli di emissioni di gas serra delle centrali elettriche americane esistenti del 32 per cento rispetto a quelli del 2005. In realtà il Clean Power Plan non è mai entrato in vigore: al momento è al vaglio della corte d’appello federale del District of Columbia, dopo che molti gruppi industriali e 27 stati hanno fatto causa contro il provvedimento. Per questa ragione l’EPA cercherà di convincere la corte d’appello federale a sospendere il suo giudizio fino a quando il Clean Power Plan non sarà sostituito da un altro insieme di regole. Questa parte non sarà difficile, ma sarà poi difficile che la corte accetti una nuova legge che molto probabilmente sarà contestata dai gruppi ambientalisti che finora hanno sostenuto il Clean Power Plan. Potrebbero volerci anni per dirimere la questione.

La seconda conseguenza dell’ordine esecutivo di Trump è che l’EPA cambierà le regole sulle emissioni di gas serra non solo per le centrali elettriche esistenti, ma anche per quelle da costruire. Le regole decise dall’amministrazione Obama praticamente rendono impossibile la costruzione di nuove centrali a carbone, perché richiedono che ogni nuovo impianto abbia un sistema (molto costoso e sviluppato da poco) per immagazzinare l’anidride carbonica sottoterra. L’EPA di Trump potrebbe riscrivere questa regola ammorbidendone i termini. Tuttavia è difficile che vengano costruite nuove centrali alimentate a carbone, visto che economicamente conviene di più usare il gas naturale come fonte energetica. Un altro obiettivo che l’EPA di Trump potrebbe cancellare alla luce dell’ordine esecutivo è la riduzione delle perdite di metano nell’atmosfera durante l’estrazione e la raffinazione di petrolio e gas naturale: Obama aveva stabilito di ridurle entro il 2025 del 40 per cento rispetto ai livelli del 2012.

La quarta conseguenza dell’ordine esecutivo di Trump sarà un tentativo di revisione delle attuali stime del costo sociale delle emissioni: sono stime (crescenti anno per anno, pari a 36 dollari per tonnellata di anidride carbonica emessa per il 2015, a 42 dollari per tonnellata per il 2020) commissionate dall’amministrazione Obama per giustificare l’importanza delle leggi in difesa dell’ambiente. Vox spiega che l’EPA di Trump potrebbe far abbassare queste stime ad esempio considerando i danni delle emissioni per i soli Stati Uniti e non per tutto il pianeta.

Uno dei pochi provvedimenti contenuti nell’ordine esecutivo di Trump che potrebbe avere effetto immediato è l’eliminazione della moratoria di Obama sulle concessioni di sfruttamento delle terre federali per l’estrazione di carbone, stabilita per evitare che fosse troppo facile costruire nuove miniere. “Potrebbe avere” e non “avrà”, perché come detto in precedenza è difficile che qualcuno voglia investire in una miniera di carbone finché il costo del gas naturale sarà basso come ora.

Perché Trump insiste tanto con il carbone?

Donald Trump, che durante la sua campagna elettorale ha sostenuto più volte che il cambiamento climatico sarebbe «una stronzata», e in occasione della firma dell’ordine esecutivo per smantellare le politiche ambientali di Obama ha detto che la sua amministrazione «metterà fine alla guerra al carbone, avremo del carbone pulito, del vero carbone pulito». Il carbone è il più inquinante tra i combustibili fossili e non è chiaro cosa intendesse Trump per «carbone pulito».

Il fatto è che tra le categorie di persone su cui Trump ha concentrato la sua campagna elettorale ci sono anche i lavoratori delle miniere di carbone di stati come il West Virginia e il Wyoming (entrambi hanno votato per Trump alle elezioni) a cui ha promesso di «far tornare il carbone», a dispetto della tendenza, non solo americana ma mondiale, a ridurne l’estrazione e l’utilizzo, e per una questione che spesso è economica ancor prima che ambientale.

Secondo i dati dell’Energy Information Administration, l’agenzia del governo americano che raccoglie e analizza i dati sul settore energetico, nel 2015 negli Stati Uniti c’erano 853 miniere di carbone, più di cento in meno rispetto all’anno precedente. Il numero di lavoratori delle miniere di carbone era pari a 65.971 nel 2015, una media del 12 per cento inferiore a quella del 2014. Sia le esportazioni che le importazioni di carbone negli Stati Uniti sono in calo.

Il New York Times ha fatto un fact-checking delle affermazioni di Trump su questo argomento. Tra le principali cose «ingannevoli» che Trump ha detto c’è che il Clean Power Plan sarebbe una minaccia per i lavoratori delle miniere di carbone e delle centrali elettriche a carbone. Il New York Times spiega che anche se dall’agosto 2015 al febbraio 2016 – cioè nel periodo in cui il Clean Power Plan è stato in vigore prima che la Corte Suprema lo bloccasse in attesa del giudizio della corte d’appello federale del District of Columbia – i posti di lavoro nelle miniere sono diventati 9.300 in meno, è dal 1980 che sono in calo e che questa tendenza è dovuta soprattutto al passaggio all’estrazione di gas naturale al posto del carbone e all’aumento dell’automazione negli impianti. Sono due fenomeni su cui il Clean Power Plan non ha alcun effetto. È probabile che le politiche ambientali di Trump (comprese le decisioni sugli oleodotti) aiuteranno i produttori e i lavoratori del settore dell’estrazione petrolifera e di quella del gas naturale più che quelli delle miniere di carbone.

Cosa cambierà con l’ordine esecutivo di Trump?

Non è ancora chiaro cosa cambierà per il clima con le nuove politiche ambientali di Trump, dato che non si sa bene quanto tempo ci vorrà per renderle effettive. Il New York Times ha realizzato un grafico che mostra le proiezioni sulla quantità di emissioni di anidride carbonica da oggi al 2025 a seconda che vengano applicate delle misure di salvaguardia ambientale o meno. Se la situazione dovesse rimanere come è oggi, la quantità di emissioni continuerebbe a crescere. Il raggiungimento dell’obiettivo fissato dagli accordi sul clima di Parigi del 2015 – ridurre entro il 2025 le emissioni di almeno il 26 per cento rispetto a quelle del 2005 – sarà possibile solo rispettando tutte le politiche introdotte dall’amministrazione Obama, e non basta: secondo le previsioni servirebbe anche un ulteriore sforzo.

L’istituto di ricerca Rhodium Group ha creato una proiezione delle future emissioni di anidride carbonica ipotizzando che tutte le cose previste dall’ordine esecutivo di Trump vengano messe in atto e che le condizioni geopolitiche mondiali restino stabili: la previsione è che le emissioni rimarranno più o meno costanti da qui al 2030 e che ci saranno comunque delle diminuzioni dovute alla dinamica del mercato (che verosimilmente non farà tornare di moda il carbone mentre inviterà le industrie petrolifere a ridurre le perdite di metano, tra le altre cose) e ad alcune leggi che non potranno essere modificate.

Secondo Mark Boling, vicepresidente esecutivo dell’azienda petrolifera Southwestern Energy, che è stato intervistato dal New York Times, i benefici delle politiche di Trump sul settore si vedranno solo se i prezzi dei combustibili fossili cominceranno a crescere di nuovo.

In ogni caso alcune delle misure in favore dell’ambiente prese dall’amministrazione Obama non saranno cancellate da Trump: tra queste ci sono ad esempio gli incentivi fiscali federali per la produzione di energia solare ed eolica, che verosimilmente continueranno per molti altri anni, dato che hanno il sostegno dei politici Repubblicani che al Congresso rappresentano stati produttori di energia eolica, come il Texas e l’Iowa. Inoltre, a prescindere dalle intenzioni del governo federale, ventinove stati hanno adottato delle leggi per sostituire gran parte della loro produzione di elettricità da combustibili fossili con quella da fonti energetiche più pulite.

Quindi gli accordi di Parigi saltano?

Gli Stati Uniti hanno ratificato gli accordi sul clima di Parigi, che sono entrati in vigore lì come in Cina il 4 novembre 2016. Finora Trump non ha fatto nulla per cancellare questa ratifica (quindi formalmente non è cambiato nulla), ma gli accordi sul clima non costituiscono un obbligo per i paesi che li hanno ratificati e quindi gli Stati Uniti potrebbero benissimo non rispettarli. La nuova politica ambientale americana avrà conseguenze anche al di fuori degli Stati Uniti, non solo perché l’inquinamento prodotto in America colpisce anche il resto del mondo, ma anche perché paesi come Cina e India (tra i maggiori produttori di emissioni di anidride carbonica) potrebbero decidere di non rispettare gli impegni presi con l’accordo di Parigi dato che gli Stati Uniti non lo faranno. In particolare il timore degli osservatori è che in Cina e in India le aziende e i gruppi politici contrari agli accordi sul clima riescano a imporre le loro idee sui governi ora che questi non hanno più “l’appoggio” degli Stati Uniti nel portare avanti le politiche di salvaguardia ambientale. Potrebbe anche succedere però che la Cina, dove l’attenzione per i problemi ambientali sta crescendo, decida di porsi come leader mondiale della lotta al cambiamento climatico.

I tribunali bloccheranno anche questo ordine esecutivo?

Così come 27 stati avevano fatto causa al governo federale per il Clean Power Plan di Obama, i diciotto altri stati che lo hanno difeso potrebbero fare causa alle misure dell’amministrazione Trump, in particolare lo stato di New York e la California, che lo ha già annunciato. Gli esperti di diritto americano sono divisi sul modo in cui la corte d’appello federale del District of Columbia deciderà di comportarsi in relazione al possibile rimpiazzo del Clean Power Plan che sarà proposto dall’EPA di Trump. Secondo Bruce Huber dell’Università di Notre Dame l’EPA non chiederà al tribunale di interrompere il processo sul Clean Power Plan perché per ora non ha ancora messo insieme una legge che lo sostituisca, mentre secondo Philip Wallach del Brooking Institute il tribunale potrebbe rinunciare a esprimersi sul Clean Power Plan vista l’importanza di tutta la questione, anche prima che l’EPA proponga una legge alternativa. Quello che è certo è che probabilmente qualsiasi proposta dell’EPA di Trump sarà contestata dalle organizzazioni ambientaliste e che i tribunali che l’analizzeranno chiederanno conto dell’impatto sull’ambiente di certe misure.

Oltre all’ordine esecutivo firmato il 28 marzo, Trump ha anche annunciato che i fondi federali all’EPA saranno tagliati del 30 per cento – riducendo di 3.200 il numero di persone impiegate nell’agenzia – e di voler cambiare la legge che definisce gli standard per l’efficienza energetica di automobili e camion per i loro produttori. È improbabile che l’amministrazione Trump riesca a cancellare le regole sulla produzione dei veicoli stabilite da Obama (al massimo potrà renderle meno restrittive) mentre per quanto riguarda la riduzione del budget e dei posti di lavoro dell’EPA sarà necessario il voto del Congresso, dove anche alcuni Repubblicani sono critici nei confronti dei tagli.