Non potremmo usare tutti gli stessi bagni, uomini e donne?

Il New Yorker mette in discussione la separazione dei bagni pubblici, suggerendo che perpetui discriminazioni e paternalismo

di Giulia Siviero – @glsiviero

Bagno pubblico di Manchester (Christopher Furlong/Getty Images)
Bagno pubblico di Manchester (Christopher Furlong/Getty Images)

Il New Yorker ha pubblicato un articolo che ragiona sulla separazione dei bagni pubblici tra quelli per maschi e quelli per femmine. Il dibattito su questo argomento, scrive la giornalista Jeannie Suk, è da sempre piuttosto vivace: non ha semplicemente a che fare con la discriminazione che questa separazione comporta e con il conseguente riconoscimento dei diritti delle persone intersessuali, transessuali e transgender, ma anche con una visione paternalistica nei confronti delle donne. Le implicazioni di questa discussione quindi vanno ben oltre i bagni, avverte Suk. «I servizi igienici saranno nel prossimo futuro i nuovi campi di battaglia per le questioni di genere e sessualità». Qualche tempo prima, occupandosi dello stesso argomento, il New York Times aveva definito il 2015 “the Year of the Toilet”. La domanda che sempre più persone si fanno è, in breve: non potremmo usare tutti e tutte gli stessi bagni, donne e uomini? Non sarebbe ora di superare anche questo baluardo della segregazione sessuale?

Paura e sessismo
Gli argomenti più tenaci contro i servizi igienici inclusivi sono principalmente due: uno ha a che fare con le omo-lesbo-trans-fobie, l’altro con il sessismo.

«La vulnerabilità che la maggior parte delle persone prova in un bagno pubblico quando ha i pantaloni abbassati vicino ad altri è stata facilmente sfruttata e messa in relazione con la violenza sessuale», scrive Suk. La paura di quello che non è conforme alla norma ha portato a stabilire nel tempo un legame tutto pregiudiziale e irrealistico tra le persone transessuali e una loro innata propensione a molestare o a compiere violenza sessuale contro le persone nei bagni e negli spogliatoi. A Houston, lo scorso anno, con un referendum è stato abolito a maggioranza un decreto che permetteva, tra le altre cose, alle persone transgender di utilizzare i bagni pubblici in linea con la loro identità di genere: gli oppositori della legge sostenevano che avrebbe «permesso a ogni uomo, in qualsiasi momento, di entrare in un bagno per donne semplicemente affermando di sentirsi donna quel giorno», nonostante il pericolo che corrono i o le transgender nei bagni sia visto esattamente al contrario come motivo per sostenere il libero accesso al bagno che ritengono più adeguato. Nel 2006, per fare un esempio più vicino a noi, la deputata di Forza Italia Elisabetta Gardini aveva dichiarato di essere rimasta scioccata dall’incontro nei bagni della Camera con Vladimir Luxuria. La notizia arrivò fino alla BBC, che dopo aver raccontato la vicenda citava queste parole di Gardini: «L’ho vissuta come una violenza sessuale, mi sono veramente sentita male».

I simboli di un corpo femminile sulle porte dei bagni delle donne e quelli maschili ai bagni degli uomini, attraverso la loro ripetizione, confermano il binarismo sessuale e la corrispondenza sesso-genere, mentre la presenza di un corpo “differente” (proprio lì dove i corpi si dimostrano vulnerabili e “fluidi”) crea disordine e viene percepita come una trasgressione che mette in pericolo le norme che reggono la struttura eterosessuale stessa. È d’altra parte riconosciuto come le omo-lesbo-trans-fobie siano diverse dalle altre forme di paura: chi ha la fobia dei ragni distoglie lo sguardo dai ragni, chi ha paura di un corpo trans può reagire con l’evitamento, ma anche con comportamenti aggressivi. Il corpo dell’omosessuale è stato dunque a lungo percepito come un corpo perverso, sporco, immorale: la letteratura è sconfinata.

Il secondo argomento contro i bagni unisex ha invece a che vedere con una visione vittoriana del rapporto tra i sessi: donne con la gonna, uomini con i pantaloni, come nei simboli sulle indicazioni dei bagni. La donna continua a essere percepita come una creatura fragile che deve essere protetta, come un “angelo del focolare”, visione alla quale corrisponde una condizione giuridica limitatissima. E questa impostazione ha infatti avuto conseguenze giuridiche molto rilevanti. Nel 1873 Myra Bradwell sfidò uno statuto dell’Illinois che limitava solo agli uomini l’applicazione della legge sul lavoro libero, incluso il diritto di scegliere la propria occupazione. La Corte Suprema respinse la richiesta di Bradwell: i principi del lavoro libero non valevano per le donne, dal momento che la loro natura le aveva assegnate alla sfera domestica. La Corte, nella stessa sentenza, precisò anche come non fosse incostituzionale per uno stato negare alle donne l’ingresso al bar, sulla base del loro sesso, spiegando la decisione con una formula che è diventata emblematica dell’atteggiamento degli uomini nei confronti delle donne: «L’uomo è, o dovrebbe essere, protettore e difensore della donna. La naturale timidezza e delicatezza che appartiene al sesso femminile, le rendono evidentemente inadatte per molte delle occupazioni della vita civile».

Questi stessi principi dell’età vittoriana (riassumibili nella parola “paternalismo”) hanno portato allo sviluppo, tra le altre cose, di ambiti distinti in base al sesso e alla designazione di alcuni spazi fisici riservati alle donne, inclusi i bagni dei locali pubblici: spazi sicuri e nascosti in un mondo in cui le donne erano e continuano a essere oggetti da proteggere. «La nostra società», dice Suk, «sta vivendo una recrudescenza di questa stessa preoccupazione paternalistica che continua a considerare le donne come creature vulnerabili». Suk dice anche di non essere a conoscenza di statistiche affidabili che indichino che i bagni pubblici siano più pericolosi per quanto riguarda le aggressioni sessuali rispetto ad altri posti. E non sarà di certo un cartello con l’indicazione “uomini” o “donne” ad allontanare gli eventuali aggressori.

Un nuovo campo di battaglia, di porcellana
E dunque: il bagno è l’ultimo baluardo della differenza sociale di genere? «Quando uomini, gay o etero possono stare tranquillamente fianco a fianco negli orinatoi, perché donne e uomini non possono condividere lo stesso bagno, soprattutto in luoghi chiusi che rispettino la loro privacy?», scrive il New Yorker. Le donne hanno certamente dei bisogni igienico-sanitari specifici, ma questi bisogni giustificano uno spazio totalmente separato?

Lo scorso dicembre, durante un comizio in Michigan, il candidato Repubblicano alle primarie americane Donald Trump ha preso in giro Hillary Clinton perché la sera del dibattito televisivo era arrivata in ritardo sul palco a causa del bagno per donne che era occupato: «Non vedendola, ho pensato che avesse rinunciato. Dov’era andata? Dove se ne era andata Hillary? Hanno dovuto cominciare senza di lei. E io so dov’era andata: è disgustoso, nemmeno ne voglio parlare». Era semplicemente andata in bagno.

Il bagno pubblico è l’istituzione sociale più evidente e diffusa in cui la separazione per sesso è ancora la norma e disfare questa separazione potrebbe avere un significato che va oltre la questione dei bagni. Se una donna trans può usare il bagno delle signore il messaggio implicito è che sì, è accettata come donna. Se un uomo trans può usare il bagno degli uomini, vale la stessa cosa. Perché, si chiede il New York Times schierandosi a favore di un bagno per tutte e tutti, Hillary Clinton non ha riconosciuto pubblicamente che il suo ritardo era dovuto a un’ingiustizia? Il bagno riservato alle donne era – ed è ancora molto spesso – scomodo, spesso c’è la fila, ed è il simbolo di molte verità su quanto possa essere difficile, quando si è una donna, vivere in un mondo costruito a misura d’uomo. «Che succederebbe se una donna dicesse tutta la verità sulla sua vita? Il mondo finirebbe in pezzi», scriveva la poeta Muriel Rukeyser. E perché, meglio ancora, sfidando le norme, Hillary Clinton non è andata nel bagno degli uomini?

Le ordinanze sui bagni
Lo scorso dicembre il senatore dell’Indiana Jim Tomes ha presentato una proposta che, se approvata, renderebbe un reato utilizzare bagni, docce, spogliatoi riservati a un sesso da parte di persone di sesso diverso da quanto indicato nel certificato di nascita. Se il proprio sesso alla nascita non corrisponde a quello della targhetta del bagno, la pena potrebbe comportare fino a un anno di carcere e una multa di cinquemila dollari.

Ordinanze sui bagni simili a quelle dell’Indiana sono state proposte in diversi altri stati americani (Arizona, Texas, Florida e Kentucky, tra gli altri) e vogliono contrastare una tendenza contraria: quella che prevede di estendere le protezioni ai transgender e che permette di conseguenza alle persone transgender di accedere a una serie di servizi che corrispondono alla loro identità di genere. Lo scorso anno il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti ha pubblicato nuove linee guida che raccomandano ai datori di lavoro di consentire ai e alle dipendenti transgender di usare il bagno che ritengono più adatto a sé. Lo scorso aprile la Casa Bianca ha aperto la sua prima “gender-neutral toilet” (si trova nell’Eisenhower Executive Office, l’edificio che ospita uffici e dipendenti dell’amministrazione). Si sono adeguati in questi mesi anche musei come il Whitney e l’American Folk Art Museum di New York e anche diverse università; c’è anche una app che fornisce una mappa dei bagni unisex in tutto il mondo.