Come cambiano le “politiche attive” con il Jobs Act

E che cosa sono, le "politiche attive"? Semplificando, tutte le cose che lo Stato organizza per far trovare un lavoro a chi lo cerca

di Marco Surace – @suracemarco

È entrato in vigore alla fine di settembre il D.Lgs. 150/2015, uno degli ultimi decreti applicativi che fanno parte del cosiddetto “Jobs Act”, la legge delega per la riforma del lavoro approvata dal Parlamento nel dicembre 2014. In particolare, il nuovo decreto riordina la normativa in materia di servizi per il lavoro e di “politiche attive”, cioè le iniziative volte a promuovere l’occupazione: rinforza e riorganizza la rete dei servizi, vincola l’erogazione dei “contributi di sostegno al reddito” alla partecipazione attiva di chi dovrà percepirli, coinvolge stabilmente i soggetti privati che possono fare da intermediari, semplifica la possibilità di impiego dei lavoratori in cassa integrazione in lavori per la collettività e allarga la portata del cosiddetto “fascicolo elettronico” del lavoratore.

Rete dei servizi
Il decreto istituisce l’ANPAL – Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro – che sarà un ente autonomo con un proprio presidente e consiglio di amministrazione. Il compito dell’ANPAL sarà coordinare la “Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro”, formata dalle strutture regionali specifiche, dall’INPS, dall’INAIL, dai soggetti privati autorizzati all’attività di intermediazione, dai fondi interprofessionali (associazioni tra rappresentanti dei lavoratori e delle imprese che finanziano attività formative per le aziende), dall’ISFOL, dalle Camere di Commercio, dalle Università e dagli Istituti di scuola secondaria di 2° grado.

Il coordinamento della Rete spetterà all’ANPAL mentre al ministero del Lavoro spetterà il compito –al fine di garantire livelli essenziali di prestazioni – di stipulare convenzioni con le regioni e le province autonome che dovranno regolare i relativi rapporti e obblighi in relazione alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive nel territorio.

Inoltre, sempre il ministero del Lavoro dovrà fissare linee di indirizzo e obiettivi in materia di politiche attive, definire i livelli minimi che le prestazioni dovranno avere su tutto il territorio nazionale, controllare il rispetto dei livelli essenziali e monitorare le politiche occupazionali.

La complessità della rete di enti appena elencati è già un indizio della debolezza strutturale del settore in Italia, tant’è vero che l’ultimo dato disponibile, nel Rapporto Annuale ISTAT 2014, mostra come l’incidenza di chi ha trovato lavoro grazie al centro per l’impiego o alle altre agenzie di intermediazione sia particolarmente bassa (6,8 per cento dei neo-occupati). Un chiaro indice che finora le strutture che dovevano favorire l’incontro tra domanda e offerta non hanno funzionato.

Sistema informativo unitario
Il decreto istituisce un Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, che mette insieme le banche dati dei percettori di ammortizzatori sociali, l’archivio informatizzato delle comunicazioni obbligatorie (assunzione, trasformazione, cessazione del rapporto di lavoro), e per ogni soggetto i dati relativi alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive e tutte le informazioni relative ai percorsi educativi e di formazione professionale. Questo sistema informativo, a disposizione di INPS, INAIL, Ispettorato del Lavoro e Centri per l’impiego – oltre che ovviamente del lavoratore – dovrebbe costituire il “Fascicolo elettronico” del lavoratore, una versione completa e fruibile del libretto formativo istituito dal DLgs. 276/03 ma mai entrato pienamente in funzione.

Viene infatti confermato l’obbligo – in vigore dal 2008 – per i datori di lavoro di comunicare esclusivamente per via telematica (ora all’ANPAL, prima direttamente ai centri per l’impiego) assunzioni, cessazioni, trasformazioni, proroghe, variazioni e rettifiche dei rapporti di lavoro e dei tirocini.

La funzione dei centri per l’impiego
Il decreto attribuisce ai centri per l’impiego, istituiti nel 1997 e poi modificati negli anni, un ruolo attivo di gestione e controllo delle politiche per il lavoro, e non più limitato a una funzione poco più che informativa.

I centri vengono costituiti dalle regioni e dalle province autonome per assistere i disoccupati e i lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito e a rischio di disoccupazione, fornendo loro orientamento personale, aiuto alla ricerca di un’occupazione o di un tirocinio, consulenza e tutoraggio per chi vuole aprire un’impresa.

La norma definisce ufficialmente “disoccupati” i lavoratori privi di impiego che dichiarano online sul portale nazionale delle politiche del lavoro di essere disponibili a lavorare e a partecipare alle misure previste dai centri per l’impiego. Viene inoltre istituito l’Albo nazionale degli enti accreditati a svolgere attività di formazione professionale: finora ogni ente (regioni, ministeri) aveva il suo.

Le politiche attive
I disoccupati, o comunque coloro che hanno già ricevuto lettera di licenziamento, sono tenuti a presentarsi entro 30 giorni – altrimenti vengono convocati – per stipulare il Patto di Servizio Personalizzato (PSP), in cui è indicato un responsabile delle attività, la definizione del profilo personale di occupabilità e vengono concordate tipo e frequenza delle ricerche di occupazione e dei contatti con il responsabile delle attività. Nel patto è inoltre riportata la disponibilità del richiedente alla partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle sue competenze e ad accettare offerte di lavoro coerenti con le sue esperienze e competenze, a una distanza ragionevole dal suo domicilio, con retribuzione superiore di almeno il 20 per cento dell’indennità di disoccupazione.

La stipula del patto è condizione necessaria per chiedere l’assegno di ricollocazione (ci arriviamo). Se la persona non viene convocata dal centro per l’impiego entro 60 giorni, ha comunque diritto alla creazione del PSP online per poter chiedere l’assegno di ricollocazione.

Come esplicitamente previsto nel decreto sugli ammortizzatori sociali, la nuova norma indica tra i compiti specifici dei centri per l’impiego la verifica per i beneficiari di sussidi per chi ha perso il lavoro (NASPI, DIS-COLL, ASDI) della partecipazione delle iniziative previste dal PSP. In caso di ogni assenza ingiustificata sono previste decurtazioni nell’erogazione dei sussidi e dopo 2 o 3 assenze, a seconda della prestazione, la decadenza completa dal contributo e dallo stato di disoccupazione per almeno 60 giorni. La persona viene infatti ritenuta non più in cerca di lavoro e quindi non più disoccupata.

Se dopo aver percepito 4 mesi di NASPI, aver attivato il PSP e seguito quanto stabilito nel piano, lo stato di disoccupazione permane, può essere richiesto l’assegno di ricollocazione, spendibile presso i centri per l’impiego e le agenzie di somministrazione o altri soggetti accreditati: prevede l’affiancamento di un tutor e un programma di ricerca intensiva della nuova occupazione, con eventuale percorso di riqualificazione professionale mirata, oltre come al solito all’impegno ad accettare offerte congrue e la sanzione per mancata accettazione ingiustificata.

L’assegno viene incassato solo a impiego ottenuto: potrebbe essere uno stimolo efficace affinché i centri per l’impiego e le Agenzie per il Lavoro creino davvero una rete di contatti con le imprese e i loro rappresentanti in modo da poter gestire, oltre a una quantità prevedibilmente significativa di domande di lavoro, un panorama di offerte congrue e interessanti.

Attività di pubblica utilità
Spariscono i Lavori Socialmente Utili introdotti dalle leggi di fine anni Novanta, e viene attivata la possibilità – decisamente semplificata rispetto a prima – per i lavoratori in cassa integrazione o per i disoccupati ultrasessantenni che non abbiano maturato il diritto alla pensione (fino a 20 ore settimanali, retribuiti dall’INPS) di svolgere “attività ai fini di pubblica utilità” per le amministrazioni locali.