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  • Domenica 29 marzo 2015

La vita movimentata di Metta World Peace

È uno dei più forti giocatori della NBA arrivati in Italia, conosciuto soprattutto per una rissa quando si chiamava ancora Ron Artest: esordirà lunedì con Cantù

di Stefano Vizio – @stefanovizio

Metta World Peace durante una partita di campionato NBA con i Los Angeles Lakers, nel 2012. (AP Photo/Jae C. Hong)
Metta World Peace durante una partita di campionato NBA con i Los Angeles Lakers, nel 2012. (AP Photo/Jae C. Hong)

La squadra di basket italiana Acqua Vitasnella Cantù – che gioca nella Serie A, il più importante torneo di pallacanestro italiano – ha ingaggiato il giocatore americano Metta World Peace, che rimarrà a Cantù fino alla fine della stagione. Metta World Peace, che in realtà si chiama Ron Artest, ha 35 anni, è alto 201 centimetri e ha giocato per quindici anni in NBA. È molto conosciuto negli Stati Uniti sia per le sue doti da giocatore sia per il suo carattere controverso ed eccentrico: nel corso della sua carriera ha fatto molte cose matte e ha partecipato alla rissa più tremenda della storia della NBA. Metta World Peace esordirà lunedì sera nella partita che Cantù giocherà contro Pistoia, diventando uno dei più forti giocatori NBA mai arrivati nel campionato italiano: sulla maglia avrà il nome “The Panda’s Friend”.

I primi anni di Ron Artest
Artest è nato il 13 novembre 1979 nel Queens, a New York, dove è cresciuto: dal 1997 al 1999 giocò per la squadra di college della Saint John’s University, con buoni risultati. Nel 1999 fu scelto nel draft – l’evento annuale durante il quale le squadre di NBA scelgono i loro nuovi giocatori – dai Chicago Bulls. Rimase a Chicago per due stagioni e mezzo, giocando con una media di circa 31 minuti e 12 punti a partita. Nel 2002 fu ceduto agli Indiana Pacers, dove cominciò a farsi notare. Fino alla stagione 2003-2004 giocò tanto e bene: tenne una media di oltre 15 punti a partita, vinse per un anno il premio come miglior difensore ed entrò nella squadra della Eastern Conference per l’All Star Game. In questo periodo ebbe un paio di discussioni molto accese con lo storico allenatore dei Miami Heat, Pat Riley, e dopo una sconfitta contro i New York Knicks distrusse una telecamera da centomila dollari: qualcuno iniziò a paragonarlo a un altro giocatore eccentrico e agitato, Dennis Rodman. Per dirne una: durante una partita che Indiana giocò contro i Boston Celtics, Artest cercò di fermare Paul Pierce tirandogli giù i pantaloni.

Nella stagione 2003-2004 e in quella successiva, Artest riuscì comunque a giocare molto bene e a farsi notare per alcune sue abilità particolari, tra cui una buona difesa e un ottimo attacco nell’uno contro uno. Artest ha sempre avuto un fisico possente, ma è comunque rapidissimo nei movimenti, e molto difficile da marcare nella posizione di post basso.

La più tremenda rissa della storia della NBA
Il 19 novembre del 2004, quando aveva da poco compiuto 25 anni, Artest fu il protagonista di quella che è stata definita da molti commentatori la più tremenda rissa della storia della NBA. Gli Indiana Pacers stavano giocando una delle prime partite della stagione 2004-2005 allo stadio dei Detroit Pistons, conosciuto come “The Palace”. Sia i Pacers sia i Pistons erano buone squadre: nella prima giocavano, oltre ad Artest, Reggie Miller (che però quel giorno non giocava), Jermaine O’Neal e Stephen Jackson; nei Pistons c’erano Richard Hamilton, Chauncey Billups, Tayshaun Prince, Rasheed Wallace e Ben Wallace.

Nei playoff della stagione precedente, i Pistons e i Pacers si erano incontrati nella finale di Conference: in gara 6 Artest aveva fatto un brutto fallo su Richard Hamilton, tirandogli un pugno. I Pistons avevano poi vinto la partita e passato il turno, per vincere in seguito il titolo NBA, in finale contro i Los Angeles Lakers. Tra le due squadre era quindi nata una certa rivalità, e la partita fu tesa: i Pacers si portarono in vantaggio e riuscirono a rimanere avanti per buona parte della partita, ma nel quarto quarto Hamilton diede una gomitata a Jamaal Tinsley dei Pacers, e ci furono le prime proteste e discussioni. La partita iniziò a essere molto fallosa: qualche minuto dopo Ben Wallace, il centro dei Pistons molto forte e possente, spinse Artest contro il supporto del canestro. A circa 46 secondi dalla fine i Pacers erano in vantaggio per 97 a 82, e la partita era sostanzialmente finita. La palla era dei Pistons, e Ben Wallace entrò in area per andare a canestro ma subì un fallo da Artest: non era molto duro, ma Wallace reagì tirando un violento spintone a due mani ad Artest, che indietreggiò per diversi metri, fino al tavolo dei segnapunti. Wallace lo seguì in fretta minacciosamente, e tutti i giocatori delle due squadre e gli arbitri si misero in mezzo per dividerli.

Artest reagì in maniera inspiegabile: si sdraiò sul tavolo dei segnapunti, si mise un paio di cuffie e cominciò a parlare in un microfono spento. Il suo comportamento fu considerato come una provocazione, e Reggie Miller lo raggiunse per toglierli le cuffie, mentre altri giocatori e assistenti cercavano di calmare Wallace. Altri giocatori dei Pacers e dei Pistons cominciarono a discutere e a spintonarsi, quando un tifoso di nome John Green tirò dagli spalti un bicchiere pieno di Coca-Cola e ghiaccio, colpendo sul petto Artest. In seguito Artest avrebbe detto: «Ero disteso quando sono stato colpito da un liquido – il ghiaccio e il bicchiere sul mio petto e sulla mia faccia. Dopo quello, è stata auto-difesa». Scavalcò i commentatori dietro il tavolo – fratturando cinque vertebre a uno di loro – e salì per i sedili. Raggiunse un altro tifoso – pensando che fosse quello che gli aveva tirato il bicchiere – e lo spintonò, mentre Green lo afferrava da dietro: in breve tempo si scatenò una zuffa tra i tifosi, Artest e Jackson. Dopo essere stato portato di nuovo in campo, Artest tirò un pugno a un tifoso e le cose degenerarono: i giocatori furono scortati fuori dal campo mentre i tifosi tiravano dagli spalti bibite e oggetti.

La NBA multò nove giocatori coinvolti nella rissa, per un totale di 10 milioni di dollari e 146 partite di sospensione. La multa e la squalifica di Artest furono le più severe: 4,995 milioni e 86 partite, la più lunga sospensione per un episodio successo sul campo di gioco della storia della lega. Ci fu poi un processo, e cinque giocatori dei Pacers (O’Neal, Artest, Jackson, Harrison e Anthony Johnson) e cinque tifosi furono accusati per aggressione e percosse: John Green scontò 30 giorni di detenzione in carcere, mentre gli altri accusati furono multati o condannati a scontare la pena ai servizi sociali o con la libertà vigilata.

Artest dopo Detroit
Prima della rissa al Palace Artest era in una fase ascendente della sua carriera: nelle prime sette partite della stagione aveva tenuto una media di circa 25 punti, era sempre un gran difensore e si stava affermando come una delle migliori ali della NBA. Artest non giocò più nella stagione 2004-2005, e all’inizio del 2006, dopo aver giocato sedici partite coi Pacers, fu scambiato con i Sacramento Kings per il serbo Peja Stojaković. La prima metà di stagione di Artest a Sacramento fu buona e la squadra riuscì a raggiungere i playoff. Le sue altre due stagioni furono meno entusiasmanti: secondo molto osservatori, Artest non tornò ai livelli dell’ultima stagione a Indiana, e i Kings non arrivarono più ai playoff. Nel 2007, dopo essere stato arrestato e accusato di violenza domestica, fu sospeso a tempo indeterminato dai Kings, che però pochi giorni dopo lo reintegrarono nella squadra.

Nel 2008 fu ceduto agli Houston Rockets, dove giocò bene, arrivando con la squadra ai playoff e uscendo al secondo turno contro i Los Angeles Lakers, che avrebbero vinto il titolo. L’anno dopo Artest andò proprio ai Lakers, che in quel periodo erano probabilmente la squadra più forte di tutta la NBA: ci giocavano, tra gli altri, Kobe Bryant e Pau Gasol. Artest si inserì bene e diventò titolare, pur tenendo una media un po’ più bassa del solito, intorno agli 11 punti a partita. Ebbe quella che in questi casi viene definita una “rinascita”, e giocò soprattutto degli ottimi playoff. I Lakers andarono in finale contro i Boston Celtics: la serie arrivò fino a gara 7, in cui Artest segnò 20 punti, tra cui un canestro da tre decisivo a un minuto dalla fine. I Lakers vinsero il titolo, e dopo la vittoria Artest tenne questa agitata conferenza stampa.

Metta World Peace
Nel 2011, alla sua terza stagione ai Lakers, Artest cambiò il suo nome in Metta World Peace (Metta è il nome, World Peace il cognome). Secondo quanto disse il suo portavoce Courtney Barnes, era una decisione che Artest meditava da anni, ma gli ci era voluto parecchio per decidere quale nuovo nome adottare. World Peace giocò con i Lakers fino al 2013, continuando con buone prestazioni. Nel 2010 organizzò una lotteria per vendere il suo anello – il premio consegnato ai giocatori che vincono il titolo NBA – raccogliendo circa 650 mila dollari, che donò in beneficenza ad associazioni per l’aiuto delle persone con problemi mentali. Sempre mentre era ai Lakers, Artest fece di nuovo parlare di sé per un altro gesto violento: durante una partita contro gli Oklahoma City Thunders tirò una gomitata a James Harden, mentre esultava per una schiacciata.

Nel 2013 andò ai New York Knicks, dove giocò molto poco e solo per metà stagione. Nell’estate del 2014 firmò con la squadra cinese dei Sichuan Blue Wales, ma anche qui giocò solo per 15 partite, partendo da titolare solo sei volte. Poco dopo la firma del contratto, World Peace disse di voler nuovamente cambiare il suo nome, questa volta in “The Panda’s Friend”.

Cantù
La Pallacanestro Cantù nel comunicato ufficiale ha definito la firma del contratto con World Peace “il colpo del secolo”: attualmente la squadra è ottava in classifica, a pari punti con Cremona e Pistoia. La scorsa stagione è arrivata ai quarti di finale dei playoff della Serie A, l’anno prima in semifinale e nel 2011 perse in finale contro Siena. World Peace, che ha chiesto che sulla maglia venga scritto The Panda’s Friend, esordirà lunedì 30 marzo, in una partita in trasferta contro Pistoia. Negli scorsi giorni ha scritto diversi tweet giocando sull’assonanza tra “Cantù” e il verbo inglese “can do”, che significa “posso fare”.