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  • Venerdì 31 gennaio 2014

La vita di un jihadista occidentale in Siria

Si fa chiamare Yilmaz, è olandese e combatte con ribelli: usa i social network per raccontare quello che fa e pubblica foto di gattini

Nell’ultimo anno diversi importanti e autorevoli giornali – tra cui il Washington Post e il Frankfurter Allgemeine Zeitung – hanno iniziato a occuparsi del progressivo aumento del numero di cittadini europei, statunitensi e australiani impegnati a combattere nella guerra civile siriana, soprattutto a fianco dei gruppi ribelli più radicali vicini all’organizzazione terroristica di al Qaida. Secondo i ministri degli Interni dei vari paesi coinvolti, il numero di queste persone potrebbe continuare a crescere nei prossimi mesi, con tutta una serie di conseguenze negative, tra cui la possibilità che «centinaia di jihadisti ben addestrati possano poi tornare in Europa e aumentare il rischio di attacchi terroristici».

Le informazioni riportate dai media su questi jihadisti occidentali si devono per lo più ad alcuni documenti confidenziali consegnati alla stampa, ai reportage dei pochi giornalisti rimasti in Siria e a qualche rara notizia diffusa dai governi dei vari paesi. Un caso piuttosto interessante riguarda però un ex militare olandese di origine turca, di nome Yilmaz, che usa i social network per raccontare la sua vita tra i combattenti islamisti. La sua storia è stata scoperta da un produttore televisivo olandese, Roozbeh Kaboly. Circa otto mesi fa Kaboly trovò su Instagram le foto di un uomo con l’uniforme dell’esercito olandese che sembrava però combattere a fianco dei ribelli siriani contro il regime di Bashar al Assad.

Nonostante il suo account su Instagram sia stato nel frattempo bloccato, Yilmaz continua ancora oggi a pubblicare regolarmente su Tumblr. Documenta le sue giornate, pubblica citazioni dal Corano, i video dei combattimenti, delle città completamente distrutte dalla guerra e della vita quotidiana nel paese. Pubblica foto di armi, di lui con in braccio dei bambini siriani e di lui con molti gattini. Il messaggio che Yilmaz vorrebbe trasmettere è che i ribelli siriani – anche quelli più estremisti e radicali – sono impegnati in una guerra difensiva, a protezione di quei civili che l’Occidente ha abbandonato.

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Su Ask.fm Yilmaz risponde con regolarità alle molte domande che gli vengono rivolte da altri utenti, in inglese o in olandese. A una persona che gli chiedeva se, una volta finita l’era di Assad, i cristiani sarebbero stati lasciati in pace, lui ha risposto: «In uno Stato islamico avranno i loro diritti, naturalmente. Finché non combatteranno i musulmani, i musulmani li difenderanno».

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Dopo diversi mesi di studio e di ricerche, Roozbeh Kaboly è riuscito a organizzare un’intervista con Yilmaz, trasmessa domenica 26 gennaio da una radio olandese. Il video dell’intervista, con i sottotitoli in inglese, è stato pubblicato anche online: Yilmaz ha raccontato di essere un ex soldato olandese che di fronte al fallimento dei paesi occidentali nel fermare la guerra ha deciso di andare in Siria «per liberare dall’oppressione il popolo siriano». Ha anche precisato che non tutti i combattenti che si trovano tra i ribelli in Siria sono affiliati di al Qaida: «I fratelli di al Qaida combattono con noi, lo sanno tutti, ma per me essere in Siria non vuol dire far parte di al Qaida».

Alla domanda relativa alla possibilità per lui e per gli altri jihadisti come lui di compiere attentati nel loro paese d’origine al ritorno dalla Siria, Yilmaz ha detto di non essere mai stato «una persona violenta nei confronti delle persone che non sono state violente» con lui, e che se mai dovesse tornare a casa vorrebbe solo mangiare del sushi, bersi una Dr. Pepper, una bevanda gassata analcolica, e dare «un grande abbraccio a mia madre». Yilmaz ha aggiunto:

«Sono venuto in Siria unicamente per la Siria. Io non sono qui per imparare a costruire bombe o quel genere di cose e poi tornare. Questa non è la mentalità della maggior parte dei combattenti presenti qui. In sostanza, anche se so che può essere difficile da capire, la maggior parte dei fratelli che sono qui, me compreso, sono venuti a morire. Quindi ripartire non fa parte della nostra prospettiva. Voglio dire, è un grande sacrificio per me e c’è un sacco di lavoro da fare qui, quindi perché dovrei pensare ai Paesi Bassi o all’Europa? È un capitolo chiuso per me»