• Mondo
  • Mercoledì 2 marzo 2011

Che cos’è una “no-fly zone”

In cosa consiste una delle misure più invocate contro Gheddafi, e chi dovrebbe metterla in pratica

** FILE ** Three U.S. F-16 fighters approache two KC-135R, Stratotankers, for air refueling during a patrol over a no-fly zone over northern Iraq near Turkey-Iraq border in this June 19, 2001 file photo. Turkish jet fighters, hit Kurdish rebel targets in northern Iraq early Sunday, Dec. 16, 2007, Turkey's military said, the first such attack since the U.S.-led invasion of Iraq. Turkish news reports said similar air refueling planes and jet fighters were used during the Turkish raids. (AP Photo/Burhan Ozbilici, File)
** FILE ** Three U.S. F-16 fighters approache two KC-135R, Stratotankers, for air refueling during a patrol over a no-fly zone over northern Iraq near Turkey-Iraq border in this June 19, 2001 file photo. Turkish jet fighters, hit Kurdish rebel targets in northern Iraq early Sunday, Dec. 16, 2007, Turkey's military said, the first such attack since the U.S.-led invasion of Iraq. Turkish news reports said similar air refueling planes and jet fighters were used during the Turkish raids. (AP Photo/Burhan Ozbilici, File)

Negli ultimi giorni è stata avanzata più volte l’ipotesi di instaurare una no-fly zone sulla Libia o quantomeno sui territori orientali del paese, in modo da impedire ai caccia di Gheddafi di bombardare gli oppositori al regime e le città liberate dell’est. La no-fly zone è un’area in cui vige il divieto di volo per gli aerei non autorizzati. Il divieto può essere totale o parziale, consentendo in questo modo il passaggio agli aerei civili. In genere viene approvato da istituzioni internazionali come l’ONU, la NATO e l’Unione europea, ma può anche essere decisa anche da singole nazioni, com’è avvenuto con la no-fly zone imposta in Iraq negli anni Novanta.

Le no-fly zone, oggi
Il divieto aereo avviene in contesti militari e in zone demilitarizzate, ed è comunemente impiegato in condizioni di pace per tutelare edifici pubblici, palazzi reali, siti artistici di particolare importanza, o centrali nucleari. Per esempio, sono protetti da una no-fly zone Disneyland e il Machu Picchu, l’intera città di Mosca, Buckingham Palace e le città che ospitano importanti incontri internazionali come il G20. L’intero spazio aereo di Cuba è interdetto al volo degli aerei stranieri, a meno che siano muniti di un’autorizzazione del governo: i soldati di vedetta hanno sparato e abbattuto più volte alcuni velivoli non autorizzati, e nel 1996 hanno distrutto due aerei statunitensi autorizzati. L’imposizione di una no-fly zone in contesti militari è stata decisa in in due occasioni: durante la prima guerra del Golfo e durante quella in Bosnia.

La no-fly zone in Iraq
Nel caso della guerra in Iraq il divieto di volo non si basava su nessuna risoluzione ONU, ma è stato deciso dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, e dalla Francia per difendere le popolazioni curde del nord del paese e quelle sciite del sud dalla violenta repressione di Saddam Hussein. Nell’aprile del 1991 i curdi si ribellarono contro il regime e Saddam Hussein non esitò a impiegare gli aerei militari per sparare contro i civili. L’ONU approvò una risoluzione di condanna chiedendo all’Iraq di fermarsi. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia decisero di istituire una no-fly zone nel nord del paese, sostenendo che era in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite e che era una misura necessaria per fermare la crisi umanitaria in corso. L’allora segretario generale dell’ONU, Boutros Boutros-Ghali, definì il divieto aereo “illegale”. Nell’agosto del 1992 i tre paesi fissarono una nuova no-fly zone, stavolta a sud per proteggere gli sciiti che protestavano contro il regime. Le forze di Saddam riuscirono a utilizzare comunque degli elicotteri per reprimere le proteste. Nel 1996 gli Stati Uniti estesero la zona fino a pochi chilometri a sud di Baghdad. La misura non riuscì a impedire i massacri neanche in questo caso. Nel 1998 la Francia decise di abbandonare la missione. La no-fly zone è terminata nel 1996 nel nord del paese, mentre nel sud è rimasta in vigore fino al 2003.

La no-fly zone in Bosnia
La NATO ha istituito una no-fly in Bosnia-Erzegovina nel 1993. L’anno prima il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva approvato una risoluzione per interdire qualsiasi tipo di volo sopra il paese, in risposta ai continui attacchi dell’aviazione serba contro la popolazione civile che voleva l’indipendenza dal regime di Slobodan Milošević. L’intervento delle potenze straniere è culminato nel 1995 quando la NATO ha bombardato alcuni obiettivi serbi in Bosnia costringendo Milošević alla resa. Nello stesso anno la no-fly zone è stata smantellata.

Una no-fly zone in Libia?
Di fatto, una no-fly zone può essere dichiarata autonomamente anche da un singolo paese, seppure sono evidentemente più efficaci no-fly zone dichiarate e sostenute da coalizioni multilaterali o da istituzioni internazionali. Nel caso della Libia, per imporre una no-fly zone sarebbe probabilmente necessaria un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’approvazione dei paesi membri della NATO, che dovrebbero metterla in pratica fornendo supporto militare. Il generale James Mattis, a capo delle truppe americane in Medio Oriente, ha detto che si tratterebbe di «un’operazione molto complessa». Per poter controllare lo spazio aereo libico bisognerebbe eliminare le difese antiaeree del paese, e condurre quindi delle operazioni militari complesse come la distruzione di radar e di batterie di missili. Secondo il Sole 24 Ore, per istituire una no-fly-zone limitata alla Cirenaica sarebbero sufficienti una ventina di caccia, oltre ad alcune aerei cisterna per rifornirli in volo. Una no fly-zona estesa anche alla Tripolitania richiederebbe almeno una cinquantina di aerei.

foto: AP Photo/Burhan Ozbilici, File