Frattini, il ministro che non esiste

Ritratto di Franco Frattini, il ministro degli esteri che gli Stati Uniti considerano "irrilevante"

di Francesco Costa

Italian Foreign Affairs Minister Franco Frattini (2nd R) gestures as he visits a sheltered playground in the southern Israeli city of Sderot, neighboring the Gaza Strip, on November 24, 2010, following his visit to the Hamas-ruled Palestinian territory . AFP PHOTO/DAVID BUIMOVITCH (Photo credit should read DAVID BUIMOVITCH/AFP/Getty Images)
Italian Foreign Affairs Minister Franco Frattini (2nd R) gestures as he visits a sheltered playground in the southern Israeli city of Sderot, neighboring the Gaza Strip, on November 24, 2010, following his visit to the Hamas-ruled Palestinian territory . AFP PHOTO/DAVID BUIMOVITCH (Photo credit should read DAVID BUIMOVITCH/AFP/Getty Images)

Nei governi dei paesi occidentali, specie in quelli che per dimensioni e influenza aspirano a giocare un ruolo importante nelle relazioni internazionali, il ministro degli esteri è il membro di governo più rilevante dopo il primo ministro o il presidente. È così negli Stati Uniti, dove il segretario di stato è ben più importante del vice presidente, ed è così anche in diversi paesi europei: si pensi alla rilevanza dell’ex ministro degli esteri Kouchner nell’ultimo governo francese o a come nella coalizione che oggi governa la Germania il primo partito abbia la cancelleria – Angela Merkel, della CDU – e il secondo partito abbia proprio il ministero degli esteri, col leader liberale Guido Westervelle. Ma non serve nemmeno andare troppo lontano: nel corso dell’ultimo governo di centrosinistra, Massimo D’Alema da ministro degli esteri ottenne rilevanza e visibilità attraverso un’attività di governo efficace e incisiva sul piano internazionale (si pensi alla risoluzione della crisi in Libano, per esempio).

Quando in Italia ha governato il centrodestra, ora o nella legislatura dal 2001 al 2006, le cose sono andate diversamente. La circostanza ci è stata ricordata di recente da uno dei rapporti diplomatici diffusi da Wikileaks, nel quale l’allora ambasciatore statunitense in Italia, Ronald Spogli, commentava laconicamente l’influenza e la rilevanza del ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, nell’elaborazione della politica estera del paese. Sul rapporto si legge che Berlusconi “rifiuta costantemente i consigli del suo ministro degli esteri, sempre più irrilevante, demoralizzato e privo di risorse”.

Parliamo di Franco Frattini, quindi: primi anni di militanza politica nel partito socialista, mette il piede in tutti i governi dal 1994 a oggi, esclusi i due di centrosinistra. Fa il ministro della funzione pubblica nel primo governo Berlusconi e il ministro degli affari regionali nel governo Dini. Quando Berlusconi torna al governo, nel 2001, il ministro degli esteri che sceglie è Renato Ruggiero, illustre diplomatico di tradizione liberale. Che infatti dura poco: giura a giugno e a gennaio si è già dimesso. Berlusconi assume l’interim e dieci mesi dopo decide di nominare ministro degli esteri Franco Frattini. Sono gli anni più caldi e cruciali della politica estera mondiale dalla fine della guerra fredda: l’11 settembre, la guerra in Afghanistan, il terrorismo internazionale, l’imminente invasione dell’Iraq. Del Frattini di quegli anni non ci si ricorda nulla. Anzi, una cosa sì: una legge. Che veniva chiamata, appunto, legge Frattini. E non ha niente a che fare con la politica estera, trattandosi di una legislazione sul conflitto di interessi – tiepidissima e molto criticata dalle istituzioni europee.

Nel 2004 il governo Berlusconi è nei pasticci: Alleanza Nazionale e UdC sono sempre più nervose e pretendono un cambio di rotta nell’esecutivo, che giudicano eccessivamente schiacciato sulle posizioni della Lega e di Tremonti (vi ricorda qualcosa?). Nel giro di pochi mesi saltano due poltrone: quella dello stesso Tremonti, politicamente insostenibile, e quella di Franco Frattini, che viene data a Gianfranco Fini. L’Italia cambia di nuovo ministro degli esteri, due anni dopo l’insediamento di Frattini e in uno dei momenti più delicati della storia recente delle relazioni internazionali.

Frattini va a fare il commissario europeo e quando nel 2008 Berlusconi vince di nuovo le elezioni, viene richiamato a prendere il posto di ministro degli esteri. Il tutto con la consueta irrilevanza. Nell’estate del 2008 la Russia invade la Georgia: muoiono 2000 persone in cinque giorni, nel mondo si parla di una nuova guerra fredda, le diplomazie internazionali lavorano freneticamente per fermare il conflitto, i ministri degli esteri europei si riuniscono d’urgenza. Frattini nel frattempo è in vacanza alle Maldive, e ci rimane: alle riunioni manda il suo vice. Meno di sei mesi dopo, Israele comincia l’operazione Piombo Fuso: invade e bombarda la Striscia di Gaza, accusando Hamas di aver rotto la tregua con i razzi Qassam lanciati nel sud di Israele. Anche stavolta si mobilitano le diplomazie di tutto il mondo. Frattini è di nuovo in vacanza, stavolta a sciare. Nessuna riunione, nessun vertice, nessuna missione. Quando il Tg1 va per intervistarlo, lui si fa riprendere dentro uno chalet, in tuta da neve e col naso unto di crema solare. Parliamo delle due crisi internazionali più gravi degli ultimi due anni: Frattini le ha passate entrambe in vacanza.

Franco Frattini ha fatto il ministro degli esteri per quattro anni e mezzo. Di lui non ci si ricorda nessuna iniziativa politica degna di questo nome. In compenso si potrebbe scrivere un libro con le sue dichiarazioni, le sue battute, meglio se tronfie, roboanti e inutili. Per restare su quelle recenti, un anno fa disse di considerare “suggestiva” l’ipotesi di mettere un crocifisso nella bandiera italiana. A maggio se la prese con Amnesty International, definendo “indegne” le accuse della ong riguardo le espulsioni degli immigrati. Due mesi fa ha detto all’Osservatore Romano che l’ateismo è un “fenomeno perverso” che “minaccia la società al pari dell’estremismo”. Mentre le diplomazie di tutto il mondo affrontavano la grana Wikileaks tentando di minimizzare, di mostrarsi solidi, tranquilli e per nulla indeboliti, Frattini strepitava: prima parlava di «11 settembre della diplomazia» e poi, dopo che il suo capo aveva detto invece di essersi semplicemente fatto una risata, diceva che Assange «vuole distruggere il mondo». Cosa si è costretti a fare, per farsi notare un po’.

(DAVID BUIMOVITCH/AFP/Getty Images)