In questi Post

Una specie di editoriale

di Luca Sofri

Mi ricordo dove eravamo: villa Torlonia, a Roma, una bella giornata di sole. Quasi due anni fa.

Oggi va online il Post. In questi due anni (quasi) ho spiegato e raccontato decine di volte quel che pensavo sarebbe diventato: e ogni volta in modo diverso, man mano che me lo figuravo meglio e che il racconto si adattava agli interlocutori. Ma il problema è che non ha un nome, una cosa così: giornale online, si dice ancora, ma è un nome che allude a un tipo di contenitore di notizie che è stato molto ribaltato in questi anni ed è un nome che nasconde le vere dimensioni di questo cambiamento. Ci sono dei giornali online, sì: sono fatti come dei giornali di carta, a volte bene e a volte no, e sono online. Quello che vuole essere il Post, invece, è un’altra cosa. I suoi modelli sono americani, ma anche lì non sanno ancora come chiamarli. Strano, no? Si inventano parole per tutto. Invece anche loro li chiamano siti di news, o ancora blog, o superblog.

Il Post è una cosa così: per metà aggregatore (altro termine equivoco), per metà editore di blog. Ha una redazione che pubblica notizie, storie, informazioni raccogliendole in rete e nei media, e linkando e segnalando le fonti. E ha una famiglia di blog affidati ad autori di diverse qualità e competenze ma con cui il Post condivide un’ambizione di innovare la qualità delle cose italiane, nel suo piccolo (e loro l’hanno riconosciuta e ci hanno creduto). Per chi lo ha seguito finora (nove anni), il Post è Wittgenstein, ma di più. Più storie, più link, più idee, più blog.

Ambizioni, parecchie. Piedi per terra, altrettanti. Ci metteremo un po’, a fare tutte le cose che vorremmo fare (tutte tutte, a essere sinceri con noi stessi, non ci riusciremo mai). Ma ne vorremmo fare molte. Introdurre di più internet nel sistema dell’informazione italiana, migliorare la qualità e l’affidabilità delle news e del giornalismo, rivedere le gerarchie delle notizie a cui siamo abituati, raccontare cose interessanti e che cambiano il mondo (bel claim già preso da Wired). Essere riconoscibili e rappresentare i propri lettori. Farsi venire delle idee. E farsi leggere senza il doping del sensazionalismo, dell’allarmismo e delle fesserie da tabloid. No boxini morbosi.

Sbaglieremo assai, e non è che dirlo prima ci assolva. Ci saranno esperimenti e assestamenti. Partiamo già con molte cose – editoriali e tecniche – ancora in costruzione e molti progetti in agenda tutti da realizzare. E solo l’altroieri ha cominciato a piovere dal soffitto in redazione. Ma contiamo sulla bella stagione, e soprattutto ci è cara la parola complicità: abbiamo a cuore non solo i contenuti ma anche il contenitore, ci teniamo sia riconoscibile, presente, non un anonimo calderone di miliardi di pagine ognuna col suo potenziale lettore da conteggiare. Siamo diffidenti di molte formule commerciali discusse in questi mesi a proposito del futuro dell’informazione online e pensiamo che l’unico modello efficace sia quello che privilegia i contenuti gratuiti e finanziati dalla pubblicità: ma staremo attenti a non far mai prevalere la quantità sulla qualità.

Due cose, inevitabili. Quella volta a Villa Torlonia c’era Giovanni De Mauro: ci giravamo intorno da un po’, ma l’idea fu sua. Il nome, del Post invece, lo dobbiamo a Christian Rocca.

Il Post non fa “reporting” come dicono gli americani: aggreghiamo e raccontiamo informazioni prodotte da altri. In realtà, è quello che già fanno molto anche i media tradizionali (tra notizie di agenzia e riscritture di articoli altrui) che però sono anche produttori di eccellenti storie e news originali a cui dobbiamo metà del merito di quello che farà il Post. Noi facciamo invece prioritariamente la prima delle due cose: ma non ci sottrarremo al racconto di storie inedite e trascurate quando le troveremo, e su questo contiamo molto sulla collaborazione e l’aiuto di tutti (fatico a chiamarli lettori, termine riduttivo: stiamo cercando di fare una cosa tutti insieme, uomini e donne di buona volontà). La separazione tra online e offline, tra giornalismo di carta e in rete, tra redazioni e blog è una sciocchezza di chi vuole costruirla. La linea in terra che ci interessa è quella tra fare le cose bene e fare le cose male.

E qui torniamo alla complicità. Il Post non è nato a villa Torlonia, in effetti, e non è nato quel giorno lì, e non lo ha inventato questa redazione. Viene da lontano, da oltre un decennio di vita in rete, di discussioni, di partecipazione a un cambiamento del mondo di cui siamo stati oggetti e soggetti: nasce già con un archivio enorme di cose fatte e dette da tutti noi, e intendo tutti noi.

Poi ci sono molte persone da ringraziare per aver lavorato alla costruzione del Post o per averlo aiutato con generosità sui mille fronti di un progetto come questo: queste tre righe sono per loro.

Cerchiamo di fare una cosa piccola ma ambiziosa, e di vedere cosa diventa. Speriamo se ne facciano altre, anche più grandi, con simili intenzioni. E insomma, in questi due anni ho spiegato il Post decine e decine di volte, ed è il momento di smetterla. Tocca farlo.