Una sconfitta ormai inevitabile

Per diciotto anni, a ogni elezione, almeno una certezza gli italiani l’hanno avuta: un minuto dopo la chiusura dei seggi elettorali, o al massimo qualche ora dopo, si sapeva chi avrebbe governato nella legislatura successiva. Non sarà mai più così, se l’accordo confermato ieri dai segretari dei partiti di maggioranza reggerà nei prossimi mesi, fino al perfezionamento di una nuova legge. Le premesse perché l’operazione riesca, nonostante lo scetticismo diffuso, ci sono. In particolare c’è, esplicito, l’apprezzamento e il sostegno del capo dello stato: Napolitano aveva prospettato più volte esattamente questa divisione di compiti nell’ultimo scorcio di legislatura fra governo, parlamento e partiti.

La fine del maggioritario all’italiana così come l’abbiamo conosciuto dal 1994 ha il sapore amaro di una sconfitta, di un fallimento collettivo. Credo che agli italiani piacesse – magari ad alcuni per mero spirito agonistico – l’abitudine di individuare rapidamente vincitori e vinti. L’opposto dei fumosi, controversi e (apparentemente) sempre uguali turni elettorali della Prima repubblica.

Ma non è colpa di Alfano, Bersani e Casini se ci avviamo a un sistema che di nuovo, probabilmente, rinvierà alle trattative dopo il voto la formazione delle maggioranze di governo, o quanto meno la definizione dei pesi interni alle stesse e del nome del premier. I tre segretari si trovano solo ad apporre il sigillo a un sistema che è fallito da sé. Qualcuno dirà che è finito la sera delle dimissioni di Berlusconi: non si sarà sbagliato di molto. In realtà, il fallimento s’è trascinato anno dopo anno, in un contrasto sempre più solo muscolare, nel quale contava solo chi aveva un paio di parlamentari in più.

Ora s’accenderà battaglia, soprattutto da parte di chi si sente minacciato dalla soglia di sbarramento. Ma la vigilanza più alta dovrà riguardare altro: che torni il diritto autentico di scelta dei parlamentari. E che le ampie coalizioni possano essere una variabile possibile, una delle soluzioni, in qualche modo decise dagli elettori: non l’unico inevitabile esito.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.