Fini vuole cambiare, leader

Mi aspettavo un fine settimana significativo. Ma non tanto positivo come è stato (scrivo intenzionalmente quando il derby di Roma deve ancora finire, poi potrei vedere le cose del mondo diversamente).
Innanzi tutto per un dato generale: tra Firenze (Renzi e Civati), Roma (Bersani), Perugia (Fini) e Milano (Vendola), qualcosa come diecimila persone hanno partecipato a eventi politici – non manifestazioni di piazza, attenzione – che avevano tutti un denominatore comune: la volontà di sbloccare la fangosa situazione italiana e proiettarsi in una stagione nuova.
In un paese che consideriamo tutti depresso, rassegnato e ripiegato su se stesso, non è una piccola cosa.
Che incidentalmente da un week-end di tale passione politica possa esser venuta l’ultima spinta a Berlusconi per lasciare libero palazzo Chigi, lo considero quasi un extra di lusso.

Ma non è neanche la “semplice”, sia pur cruciale, notizia di Fini che stacca la spina, che mi procura ottimismo. È il modo con cui questo passaggio si sta consumando. Appunto, leggendolo in parallelo tra Perugia a Firenze.
L’assemblea di Futuro e libertà è stata una vera autentica “cosa di destra”. Leaderistica, presidenzialista, il capo che arringa i seguaci, l’esibizione della forza. Proprio per questo spaventerà Berlusconi, oltre che per la manovra finiana interna al quadro politico: perché quella roba lì può funzionare per l’elettorato di destra. Può suonare convincente, un modo per uscirne senza scossoni valoriali: si cambia l’uomo solo al comando, quello di prima è cotto, questo è bello gagliardo.
Si capisce finalmente meglio che cosa significa che Fini vuole fare “un nuovo centrodestra”, fuori da quelle stupidaggini sull’ex missino che piace a sinistra. Lui vuole dare alla stessa gente che vota a destra un’altra guida carismatica, con un po’ di salutare aggiornamento quanto a valori costituzionali e senso civico.

Allora tra Perugia e Firenze – tra gente che alla pari vuole liberarsi di Berlusconi, quelli di Fli se possibile ancora più di quelli del Pd – torna a esserci tutta la differenza tra una cosa di destra e una cosa di sinistra, se per sinistra intendiamo una pratica partecipata della politica.
Su Europa avevamo chiesto alle assemblee di Roma e di Firenze una sola cosa: «Save the Party». Salvate un partito a rischio di estinzione di senso.
L’hanno fatto. A Roma con una riunione di partito tradizionale, onesta, combattiva e orgogliosa il giusto. A Firenze con qualcosa di più, francamente. Grazie al Post di averne fatto una cronaca precisa in tempo reale.
La cosa di Renzi e Civati è stata una bellissima sorpresa per chi cominciava a disperare che il Pd potesse tornare a essere un luogo aperto, permeabile e interessato all’Italia nuova. Insomma, il Pd come l’avevamo pensato. Il Pd utile anche ai cittadini, oltre che a quelli che ci fanno politica dentro. Non mi sono piaciuti solo il format, le facce nuove, l’ostinata volontà di stare al merito degli argomenti. Mi è piaciuto il senso di appartenenza: ci battiamo per rendere migliore e vincente una cosa che riteniamo nostra. Questo è un sentimento che dura.

Nelle prossime settimane ci dovremo occupare dei passaggi – sicuramente opachi e drammatici – che segneranno la fine dell’epopea berlusconiana. Saranno vicende nelle quali Fini giocherà un ruolo protagonista.
Ma se guardiamo oltre, a chi avrà più cose da dire nella stagione nuova, la qualità e anche la quantità di Firenze restituiscono l’ottimismo perduto. E se Matteo Renzi fa crescere qui dentro le sue ambizioni di leadership, niente di male. Questa non è una cosa di destra: è una cosa necessaria.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.