Social network: una modesta proposta

Nella discussione che si è rianimata in questi giorni su alcuni casi di cronaca che riguardano i social network e le vaste implicazioni che quelle piattaforme hanno sulla nostra vita, se c’è un errore che possiamo fare è quello di occuparci troppo di raffinate questioni legali e commerciali. In questi giorni lo abbiamo fatto moltissimo.

Editorialisti ed esperti, tecnologi o semplici frequentatori di social network, hanno discusso a lungo su quali siano i doveri di Facebook o Twitter nei confronti dei contenuti che ospitano, su di chi siano le responsabilità per una loro eventuale rimozione, su quali possano essere gli strumenti per esercitare un maggiore controllo. Discussioni lecite e spesso interessanti con un vistoso punto di debolezza: partono da casi singoli, spesso molto dolorosi, per immaginare una norma generale.

Si tratta di temi che quasi sempre mostrano grandi complessità: attraversano normative di altri Paesi, impegni commerciali, coinvolgono sensibilità diverse su temi rilevanti. Qualcuno, per esempio, pensa che sia possibile andare a casa di Mark Zuckerberg a spiegargli il raffinato meccanismo (o il delirio, fate voi) di liberatorie che la norma sulla privacy italiana prevede da qualche lustro? Se la legge Rodotà, di cui andiamo tanto orgogliosi, fosse rigidamente applicata ovunque, Facebook semplicemente non sarebbe nato.

Lo stesso vale per molti dei temi che vengono sollevati da casi di cronaca come quello di Tiziana Cantone che è tornato in cima alle notizie italiane o quello della licenza da concedere o rifiutare a Donald Trump per i contenuti da lui espressi nel suo ruolo di candidato alla Presidenza USA. Parole che incitano all’odio e quindi violano i TOS di Facebook. Che si fa? Le cancelliamo o no?

Tutte discussioni che mediamente non portano da nessuna parte e che sono utili solo a rinvigorire polemiche, creare fronti contrapposti e, in genere, a mettere in pericolo la libertà di espressione di tutti in nome di maggiori e più rigidi controlli.

Eppure una cosa semplice forse la potremmo fare. Fin da subito e unilateralmente, senza doversi ogni volta occupare di singoli casi. Una piccola norma nazionale che certo non risolverebbe alcun conflitto legale o commerciale ma sarebbe forse utile a migliorare un po’ un ambiente avvelenato nel quale da una parte si chiede alle piattaforme di rete impegni che queste non potranno mai assumere, dall’altra i singoli cittadini vengono lasciati soli dentro piccoli e grandi questioni digitali che talvolta da irrilevanti diventano dolorose e urgentissime.

Penso da tempo che qualsiasi piattaforma di rete che sia localizzata in italiano e che abbia un numero rilevante di utenti attivi nel nostro Paese dovrebbe garantire la disponibilità di un team di assistenza che si occupi delle urgenze. Un gruppo di persone che lavori 24 ore al giorno e che abbia capacità decisionale. Una struttura dedicata, italiana e riconoscibile, che sia composta da personale che parli la nostra lingua. Limitandosi a Facebook e Twitter, i due maggiori social network spesso al centro dell’attenzione dei media, andrà considerato che, attualmente, qualsiasi “urgenza”, anche la più grave e immediata, passa attraverso strutture di controllo in Irlanda o in USA. I pochi dipendenti italiani dei social network, per quanto ne so, non hanno alcun potere decisionale e si limitano a segnalare i problemi; moltissime volte le risposte alle emergenze sono lente, ambigue o del tutto assenti.

Grandi poteri richiedono grandi (o almeno alcune) responsabilità: gli algoritmi di Facebook sono tutt’altro che perfetti e comunque in molti casi (il caso Trump docet) è necessaria una decisione intellettuale che nessun computer potrà mai prendere e della quale in ogni caso una persona in carne e ossa dovrà assumersi la responsabilità. Piuttosto che occuparsi dei massimi sistemi o di intestare alle esili strutture di controllo italiane (Polizia Postale in primis) o peggio ancora ad organismi amministrativi (come il Garante Privacy) la gestione di vere e proprie emergenze sociali in rete, sulla cui evidenza mi pare ormai non esistano discussioni, perché non potenziare i meccanismi di segnalazione che i social network hanno, riducendo la quota di controllo automatico e incrementando l’occhio umano sulle vicende più rilevanti? E se i social network utilizzati da milioni di italiani non lo vogliono fare, dato che ovviamente questo implica una complessità e dei costi che non intendono accollarsi, perché semplicemente non convincerli gentilmente della obbligatorietà di strutture di minima palesi e riconoscibili?

Sono passati già molti anni dal grande successo dei social network in Italia: siamo fra quelli che li utilizzano maggiormente. Sul versante responsabilità della piattaforma fino a ora si è fatto pochissimo. Ci si è concentrati prevalentemente sulle diatribe legali, sui singoli casi, sulla cattiva pubblicità sui giornali. Da un lato perché ovviamente le piattaforme di rete non hanno alcun interesse ad essere richiamate ad una propria responsabilità operativa, dall’altro perché la discussione pubblica ogni volta passa dai singoli casi ai massimi sistemi. Siamo pieni di gente indignata che propone ad ogni giro di chiudere i social network e di mettere in galera Mark Zuckerberg quando forse si potrebbe iniziare a trattare le piattaforme di rete come oggetti adulti che non possono non confrontarsi con i diritti dei cittadini.

E per farlo hanno uno strumento potentissimo che è l’occhio attento dei loro utilizzatori. E insieme a quello una serie di presidi tecnologici che sono già ora attivi. Ma se cento persone di buona volontà segnalano in dieci minuti una grave emergenza on line italiana, non potrà continuare ad essere un software stupido a rispondere a persone in carne ossa, magari come capita spesso su Facebook con risposte automatiche insensate. E non potrà nemmeno, al passaggio successivo (quando le segnalazioni saranno diventate mille) finire sul tavolo di un tizio a Dublino che dopo molte ore apre Google Translate per capire cosa diavolo stia succedendo in quel paesucolo mediterraneo dove molti milioni di persone ogni giorno utilizzano la piattaforma che gli paga lo stipendio. Più tardi ancora arriveranno i gendarmi e il magistrato ma a quel punto sarà probabilmente tardi. Sarà di nuovo il tempo delle polemiche, delle accuse e del come si stava meglio prima dei social network.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020