Le bugie hanno le gambe lunghette

Negli articoli pubblicati oggi dal Post sulla storia delle indagini sulla strage di via D’Amelio e delle falsificazioni che hanno portato a ricostruzioni inventate ed estranei condannati, ci sono già abbastanza storie da prendervi un paio d’ore, e avrei aspettato ad aggiungere considerazioni ulteriori.
Ma mentre le pubblicavamo è successo che la Corte d’Appello di Catania assolvesse proprio oggi – nel processo di revisione – gli imputati che erano stati condannati in seguito a quelle falsificazioni nei primi processi, prima che il “collaboratore” Gaspare Spatuzza le svelasse, nel 2008.

Quindi metto in fila un po’ di cose.

1. Le persone assolte oggi – alcune responsabili di altri reati, anche gravi, altre no -, estranee alla strage di via D’Amelio, ne erano state accusate nel 1992 (con straordinaria e non casuale rapidità) e ne sono state assolte nel 2017. Ci sono voluti due mesi ad accusarle falsamente, 25 anni ad assolverle giustamente.

2. La confessione “ufficiale” di Spatuzza è del 2008 e si rivelò credibile da subito. Tanto che gli imputati – oltre a lui stesso – accusati da quella confessione sono stati tutti già condannati. Ma ad assolvere quelli che non c’entravano e sancire la falsità di quella versione ci sono voluti invece 9 anni.

3. L’elemento paradossale conseguente è che (in un paese dove ci vuole molto meno a essere condannati che ad essere assolti, evidentemente), per un periodo le sentenze hanno sancito contemporaneamente due versioni incompatibili tra loro. Questo sia da promemoria per chi pretende che le sentenze siano verità, e che siano verità storica, qualunque il loro esito. Se così fosse, questa storia avrebbe dimostrato che una cosa può essere e non essere, insieme.

4. Le cronache giornalistiche sulla sentenza di oggi, con un grado di acquiescenza e complicità imbarazzante anche agli occhi di chi non abbia certezze o pregiudizi, raccontano di nuovo la versione falsa e poi smentita unicamente come una “menzogna” di Vincenzo Scarantino, rappresentandolo come unico responsabile di un depistaggio che invece avvenne perché fu creato e avallato da ufficiali di polizia e decine di magistrati ora completamente trascurati dalle suddette cronache, malgrado ci siano sentenze e pubblici ministeri che hanno sancito pressioni, abusi e violenze. L’idea che trasmettono queste cronache è quella di un sistema giudiziario che arriva a condanne definitive per strage di nove persone solo per via delle bugie di un delinquente qualunque: sarebbe forse ancora più preoccupante, fosse così. Ma non è così: si è arrivati a quelle condanne perché molti magistrati – che hanno nomi e cognomi e non hanno mai detto una parola se non sfuggente o autoassolutoria – hanno voluto credere a quella versione, sostenerla, difenderla, malgrado ci fossero avvocati, esperti ed altri magistrati che seppero prenderne le distanze e dubitarne. Non è una “menzogna” ad avere creato la falsificazione: è averla costruita, coperta, difesa (qui maggiori dettagli), ignorando ogni evidenza. E giornali e giornalisti che lo tacciono non sono da meno, nelle falsificazioni.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).