The pitchers in the rye

La scuola Holden di Torino sta facendo in questi giorni una cosa straordinaria, e uso l’aggettivo nel suo senso letterale: non mi risultano altre occasioni del genere in Italia in cui un luogo di formazione al lavoro crei questo tipo di opportunità per i suoi studenti a fine corso e per gli enti o aziende interessati a trovare persone nuove e capaci da coinvolgere nelle loro attività.

Lo hanno chiamato “pitch”, che è un termine da venditori che si riferisce alla presentazione di prodotti o servizi da vendere, o di persone in potenziali rapporti commerciali. In questo caso a proporsi e presentarsi sono i 120 appena diplomati dalla scuola, in una successione molto serrata – cinque minuti ciascuno – di descrizioni del loro progetto finale di fronte a una serie di potenziali loro interlocutori in un prossimo possibile lavoro (ho visto per esempio degli editori, ma anche dei responsabili di aziende alimentari, direttori di reti televisive, o io). Il progetto mostrato è nella maggior parte dei casi un pretesto: in realtà si ascoltano delle persone, si prova a intuire le loro capacità dal loro modo di raccontare, di presentarsi, di gestire la situazione e l’esposizione, dalle cose più o meno brillanti e mature che dicono. E dopo, con i diplomati che sembrano interessanti all’uno o all’altro interlocutore, si fissano delle conversazioni immediatamente successive, per approfondire le impressioni.

Nel 2015 la usuale ricerca di opportunità tra aspiranti lavoratori e datori di lavoro è ancora affidata quasi completamente a meccanismi palesemente vetusti per gli stessi che li usano: curriculum, lettere di accompagnamento, formule artificiose e rituali, tradizioni che costruiscono più estraneità che complicità tra le due parti in causa. Ne ho scritto qualche volta per la mia esperienza da quando facciamo il Post, luogo da cui sono ormai passate – e spesso rimaste – circa 25 persone, dopo un totale di ormai almeno duecento colloqui seguiti a migliaia di lettere e curriculum che arrivano quotidianamente. È un processo che consuma tempo ed energie, e che dà spesso l’impressione di consumarle male, come un sistema che produca pubblicità senza conoscere il suo target, o che costringa all’acquisto senza mostrare bene l’offerta.

L’idea della Holden offre ai suoi studenti un appoggio finale e post-finale: non vi consegnamo il diploma e ciao, ma coinvolgiamo direttamente noi delle persone che possano essere interessate a voi e a quel che potete diventare, per mettervi in contatto. E lo facciamo in una forma estremamente ottimizzata e piacevole, questi quattro giorni di incontri nella scuola: in cui noialtri di qua possiamo sederci, ascoltare, farci un’idea, senza annoiarci di noi stessi nella successione di spiegazioni tutte uguali che dobbiamo a chi ha chiesto un colloquio.
Penso a quanto lavoro ci avrebbe risparmiato, in tempi in cui cercavamo persone per il Post, che iniziative del genere fossero state organizzate da scuole di giornalismo, o corsi legati all’innovazione o a internet, o da qualsiasi luogo da cui escano persone capaci in cerca di lavoro.

L’ho scritto per questo, questo post: che magari se ora lo sanno lo adottano anche altri, il “pitch” della scuola Holden.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).