Il primo che rompe il muro

Ho visto questo film con Brad Pitt che si chiama “Moneyball”. Parla di baseball. Come i lettori di questo blog sanno, a me il baseball piace. Dice: come fa a piacerti il baseball? Per due ragioni: una è che ci ho giocato da ragazzino, a Pisa. L’altra cerco spesso di spiegarla e non ci riesco quasi mai: il baseball è lo sport più letterario del mondo, quello con dentro più storie e umanità di tutti, quello meno fisico e atletico (i giocatori sono spesso non giovani, si corre molto poco). Non è un gioco a chi è più forte, come altri: è un romanzo, una serie di romanzi. È una biblioteca. Ogni partita ha dentro mille storie che avvengono solo in piccola parte dentro a quel campo in quel momento. O, per dirla con Brad Pitt in Moneyball:

«È dura non essere romantici col baseball»

E insomma, era dal fuoricampo di Roy Hobbs nel Migliore con Robert Redford, che non mi commuovevo per un fuoricampo. Ma per quelli meno sentimentali, dirò che è una storia vera che sembra costruita con la struttura del dramma, che c’è sopra tutta la retorica e gli effetti hollywoodiani, sommati alla retorica e agli effetti del baseball, ma anche che è un film che mostra molto poco baseball giocato. Se ne parla, tutto il tempo. Poi potrei dirvi anche che è un film che – come il baseball – parla della vita e di come le rivoluzioni vincono mentre i rivoluzionari perdono, e del cambiare le cose da dentro senza che nessuno ti dia una lira e tutte altre retoriche di questo genere. Di cui a volte è fatta la realtà, e a volte no.
A me è piaciuto, insomma.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).