Post Scriptum

Nel primo capitolo del suo libro Enjoy the Symptom, il filosofo Slavoj Zizek, ragionando sul quesito lacaniano del perché una lettera arriva sempre a destinazione, riporta la tesi di Barbara Johnson: una lettera arriva sempre a destinazione, perché dovunque arrivi quella è la sua destinazione…

Mi è sempre piaciuta questa frase, anche se – pur ragionandoci sopra molte volte – ho sempre avuto l’impressione di non averla mai capita fino in fondo. Almeno non fino a un paio di settimane fa, quando mi è capitato di essere il destinatario involontario di una lettera che, inizialmente, era diretta a qualcun altro.

È una lettera d’amore – anzi direi solo l’ultima pagina di una lettera d’amore visto che si tratta di un post scriptum – che ho trovato per terra mentre camminavo una sera per il centro di Amsterdam. È scritta (in inglese, l’ho tradotta io in italiano…) da un certo K. e recapitata al mio indirizzo da quel postino misterioso che è il destino. Che tramite me, ora, ha deciso di imbucarla anche nella cassetta delle lettere delle vostre vite.

P.S.: Un’ultima cosa prima che non ci sia più niente da dire tra di noi: del nostro castello in aria, che ne facciamo? Lo affittiamo? Lo vendiamo? Lo smontiamo? Lo lasciamo ai nostri fantasmi? Ci sono tornato ieri, un po’ per nostalgia, un po’ per abitudine e un po’ perché non sapevo dove altro andare. Non è stato semplice arrivarci: il terreno del viottolo verticale era mezzo franato e i miei piedi, ormai senza ali, sprofondavano sempre di più nella realtà. Allora ho preso la scala con i pioli piatti di plexiglass, quella che avevi costruito tu, e mi sono arrampicato sul nostro sogno per l’ultima volta. Quando sono arrivato in cima, sul viale alberato davanti al castello non c’era nessun barone rampante a fare da sentinella al nostro buonumore e tutti i fiori inventati che avevo piantato per te sul prato di fronte all’entrata, non più annaffiati dalle maree lunari, erano tutti appassiti e alcuni addirittura sradicati. Dentro però era tutto come l’avevamo lasciato: il grande zootropio nel salone, i tappeti volanti del corridoio, i volumi della nostra ‘Enciclopedia di Noi Due’ negli scaffali della biblioteca, il tuo ritratto fatto con fili di tungsteno nel mio studio, la collezione di cose combacianti in cucina, la piscina del sotterraneo con il trampolino per i tuffi al cuore (la molla si è arrugginita, ma funziona ancora, l’ho provata…). Sono andato un momento anche di sopra, nella nostra stanza, quella che ci assomiglia, a tre pareti.  Ma sarebbe stato meglio che non l’avessi fatto, mi ha messo molta malinconia: sparpagliati per terra c’erano tutti i baci che non c’eravamo ancora dati, gli abbracci ancora non stretti, le risate che non abbiamo fatto in tempo a ridere, e le frasi d’amore pensate ma mai dette. Li ho raccolti e messi in uno scatolone perché avevo pensato di prenderli con me, ma poi ci ho ripensato. Se li cerchi li ho messi addossati al muro dove c’è appeso il disegno delle istruzioni su come andare correttamente a braccetto. Ho preso solo due baci non dati. Uno me lo sono messo in tasca, così nel caso ci dovessimo vedere un’altra volta non arriverò a mani vuote. L’altro te lo do ora.

Un bacio, K.

PPS: Prima di lasciare il castello sono passato per le stalle, per vedere come stava il tuo cavallo rosso. Sta bene, ha biada per il resto della sua vita e anche la prossima, ma mi è sembrato più irrequieto e guardingo del solito. Sai bene cosa significa quel cavallo per me. Prenditene cura se puoi. Perché non basta amare, bisogna amare bene.

Lorenzo De Rita

Vive ad Amsterdam, dove dirige The Soon Institute - un collettivo di inventori che sperimentano e sviluppano prototipi per la società che verrà. Ha aperto recentemente una casa editrice che pubblica libri difficili ed è il co-fondatore di jointhepipe.org