Uno è molto più di due

Non sono molti, però ce n’è di tutti i tipi: quelli da salotto, quelli da telone da spiaggia, quelli da panchina di un parco, quelli da fermata dell’autobus, quelli da volo intercontinentale, quelli da “prima di addormentarsi”, quelli da biblioteca, quelli da ascensore di grattacielo, da lavanderia automatica, da amaca, da in riva a un fiume (e una volta ne ho visto uno anche da discoteca).

Sono i lettori.

Per loro, indistintamente da cosa, dove e come leggano, ho sempre avuto un debole. Mi piace il loro temporaneo isolamento dal mondo circostante, la loro espressione assorta (che è sempre quella, che stiano leggendo un trattato di geofisica o un’avventura di Calvin e Hobbes), il loro silenzio, e soprattutto la loro noncuranza della velocità di tutto quello che gli passa intorno.

Il mondo corre a perdifiato, in perenne fuga dal presente, inseguendo la propria coda, tarantolato dal desiderio di novità, roso da appuntamenti inderogabili e cumuli di cose da fare, e questi cosa fanno?

Leggono.

A questa corsa del mondo loro non partecipano. Sanno che non c’è arrivo e allora se ne stanno fermi, che poi è l’unico arrivo possibile. Dei fantastici matti. Dei rallentatori viventi. Degli anarchici dell’orologio. Ecco chi sono i lettori. E tra loro ce ne sono alcuni che sono ancora più fantastici e ancora più matti.

Sono i rilettori.

Quelli che si leggono un libro e poi se lo rileggono di nuovo, che in questi tempi isterici è davvero pura follia. Per loro l’ultima pagina del libro non è la fine del libro; è invece più simile a una boa di bolina, da circumnavigare per tornare velocemente a riaffrontare quel mare di parole e pagine.

Il più grande rilettore che io abbia mai conosciuto è una persona che da una cinquantina d’anni e passa rilegge sempre lo stesso libro. Lo tiene sul comodino, accanto al suo letto, e lo rilegge in continuazione. Non sempre dall’inizio e non sempre andando verso la fine (dopo un po’ di volte che ti rileggi lo stesso libro, le boe decidi tu dove metterle, immagino…).

Incuriosito, ma anche un po’ stranito, un giorno chiesi a questa persona il perché. Perché rileggesse sempre lo stesso libro – e poi perché proprio quello. Lui mi rispose: “Cercalo tu il perché…”

Ci pensai un po’ al perché, ma onestamente non riuscivo proprio a trovare una risposta convincente. Ed era anche ovvio. La risposta non sarebbe mai potuta arrivare pensandoci. Era necessario fare l’esperienza io stesso: dovevo diventare un rilettore.

Così ho cominciato a cercare tra gli scaffali di casa un libro da poter rileggere. Trovato quello che faceva al caso mio (ne cercavo uno non troppo lungo in modo da poterlo rileggere spesso, con una storia scorrevole senza complicati risvolti psicologici e in lingua originale), lo misi sul comodino e quando fu sera, cominciai la mia esperienza di rilettore professionista. Ma dopo le prime cinque riletture ero più confuso di prima.

Non c’è niente d’interessante a sapere una cosa che già sai, mi dicevo. Più sapevo e meno capivo… E mentre me lo dicevo, cominciavo a trovare quello che stavo cercando… Un rilettore non deve leggere per sapere (questo è quello che fa il lettore). Un rilettore deve invece scavare nei significati delle parole e scoprire; come un paleografo che si muove tra diversi piani di lettura deve essere capace di riconoscere le relazioni nascoste tra le varie frasi, il perché di un avverbio, decifrare il geroglifico del pensiero che sta dietro ad una frase, il “tra le righe”, valutare il peso sopraterrestre di ogni parola. Deve cioè leggere l’illeggibile, o quello che a prima vista non si era ancora letto. E dargli un significato, un testo appunto.

E’ proprio così: il rilettore mentre rilegge, riscrive.

L’attenzione ai dettagli è la penna del rilettore, la perspicacia e la capacità di scomporre e ricomporre un’immagine o una storia è il suo talento di scrittore di libri altrui. Per questo un libro si può leggere una sola volta, ma si può rileggere all’infinito.

Nei tempi consumistici in cui viviamo, in cui tutti vogliono tutto e gli è permesso di avere e fare tutto, pensiamo che la ripetizione sia una cosa noiosa, una fotocopia dell’originale, una situazione da cui è meglio fuggire. E paradossalmente, così facendo, si prende la direzione sbagliata: perché è solo nella ripetizione all’infinito dei gesti, dei riti, delle esperienze, che il tutto si rivela.

Questa è la lezione che ho ricevuto dal più grande rilettore di tutti i tempi: centomila libri non sono sufficienti a contenere tutto il sapere, ma un solo libro sì.

PS: Se rileggessimo un po’ di più, non solo libri, ma anche amicizie, matrimoni, impieghi di lavoro, giudizi, periodi politici, convenzioni sociali, io credo che ci sarebbe meno solitudine, meno divorzi, meno disoccupazione, meno arroganza, meno senso d’insoddisfazione.

Lorenzo De Rita

Vive ad Amsterdam, dove dirige The Soon Institute - un collettivo di inventori che sperimentano e sviluppano prototipi per la società che verrà. Ha aperto recentemente una casa editrice che pubblica libri difficili ed è il co-fondatore di jointhepipe.org