Il nuovo logo di Bologna

Il nuovo logo del Comune di Bologna rappresenta un punto di svolta nel progetto dell’identità delle pubbliche amministrazioni italiane per almeno un paio di buone ragioni.

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1. Il concorso che ha dato origine al progetto vincitore, realizzato dai triestini Matteo Bartoli e Michele Pastore è stato messo in piedi con un processo approfondito di analisi iniziale (qui la documentazione) e gestito dall’Urban Center di Bologna congiuntamente con l’associazione dei graphic designer AIAP. La stessa amministrazione del comune ha dato poi prova di un non comune coraggio, e intelligenza, nell’affidare la giuria esclusivamente a esperti di comunicazione visiva. Probabilmente un caso più unico che raro. Si è così evitato il rischio, sempre presente quando interviene nel giudizio un politico, di ricercare necessariamente nei simboli e nei luoghi comuni la rappresentazione di un’identità collettiva con tutta la deriva demagogica che spesso ne consegue (votazioni online, referendum tra i cittadini e così via): Bologna, insomma, non necessariamente deve essere rappresentata attraverso le due torri. Ne parlavamo qualche giorno fa, riportando i consigli di Paul Rand, a proposito di Firenze.

2. Tale impostazione ha portato così a riconoscere i valori innovativi di un progetto che si rifà a un modello di identità visiva avanzata e che raramente ha trovato accoglienza presso le amministrazioni nostrane. Se il concetto di “identità dinamica”, dove l’identità risiede nella declinazione più che nella ripetizione, è stato adottato ormai da numerose istituzioni culturali e cittadine (ricordiamo qui solo alcuni dei più famosi esempi quale quelli del Brooklyn Museum, del Nederlands Architectuurinstituut, della Cinémathèque française, della città di Rotterdam o di Melbourne), suona tuttavia ancora ostica ai più l’idea di dover rinunciare alla sicurezza di un buon logo all’antica, classico e monolitico, in cambio di un’estesa collezione di immagini alternative.
Nel progetto di Bologna ci si è spinti ancora oltre sulla strada della dinamicità del logo, aggiungendo quel tanto di grafica (semi)generativa da rendere personalizzabile la molteplicità delle forme che questo viene ad assumere. L’idea di un logo che si concretizza in un software, anziché nel tradizionale artefatto grafico, non è nuova. Già Stefan Sagmeister ha sperimentato per l’immagine della Casa Da Música di Oporto la riconoscibilità che deriva, paradossalmente, dall’uso di forme e colori sempre diversi prodotti da un “logo generator”. Tuttavia mentre nel lavoro di Sagmeister il senso di appartenenza è dato dall’uso delle prospettive dell’edificio di Rem Koolhaas, nel caso bolognese il risultato è un caleidoscopio di figure geometriche del tutto astratte (che ricordano in certi casi i tipici Mon giapponesi), risultando estremamente labile il dichiarato rapporto con l’iconografia del territorio.

Detto tutto questo, il nuovo logo di Bologna pone anche all’ordine del giorno una riflessione su cosa voglia dire progettare oggi un’identità complessa come quella per una comunità. Costruire un sistema aperto come può esserlo un software di certo incentiva la partecipazione del pubblico ma cambia anche sensibilmente la modalità con cui il logo diviene simbolo di appartenenza.
Se finora il lavoro per la costruzione di logo si basava sulla definizione di una necessaria sintesi (ognuno rinunciava a qualche propria caratteristica per identificarsi in un simbolo comune), nell’epoca della mass customization, della possibilità tecnica della personalizzazione estrema (la Coca Cola che scrive il tuo nome sulla lattina), ogni identità collettiva può essere rappresentata con niente di più che la somma di tutte le singolarità. Come avviene nei social network, il simbolo comune di appartenenza è dunque il processo condiviso. Un’opzione, questa, che riscuote oggi particolare fortuna, ma che contiene in sé, quando non opportunamente controllata, il rischio della perdita di ogni carattere identitario: come si distinguerannno, per fare un esempio, l’insieme delle singolarità di Bologna da quello delle singolarità di Milano?
Intanto aspettiamo, curiosi, i prossimi risultati dei concorsi, per i rispettivi brand turistici, di Genova e di Firenze.

Gianni Sinni

Grafico, si occupa di comunicazione responsabile