L’antivaccino di Galileo

Gli argomenti degli antivaccinisti nudi e puri sono inconsistenti e talvolta allucinati, lo sappiamo. Sono per questo ammirato da quanti tentano di fare una posizione politica di questa massa di opinioni che aggroviglia residui del primitivismo degli anni ’90, rancori contro le istituzioni assimilate a parti politiche ostili, volontà di esercitare un potere sui propri figli intesi come proprietà esclusiva (si direbbe un ritorno del patriarcalismo delle società antiche, in cui il padrefamiglia ha tra le sue sostanze anche i figli – e quando ha solo quelli, cioè la prole, su cui esercitare un potere, è un proletario; ma qui sto scherzando con le parole) e istinti nichilistici tinti di libertarismo.

Ma non è questo il punto che m’interessa ora. Qui vorrei solo sottolineare un elemento della narrazione implicita degli antivaccinisti (e di quelli che cercano le sirene, le scie chimiche e tutto il resto), che ha una sua coerenza con la nostra idea collettiva della scienza. Non ci hanno insegnato forse che la verità incontra sempre degli ostacoli, soprattutto nelle istituzioni e nel senso comune?

In fondo non è stato Galileo, padre della scienza moderna, processato e condannato dalle istituzioni del suo tempo per aver contestato quello che da tutti veniva considerato scientifico? Non è stato Giordano Bruno arso vivo anche per le sue teorie scientifiche e filosofiche? Per non parlare, più ampiamente, dai tanti eretici portatori di verità che le istituzioni, le inquisizioni di tutto l’Occidente, ma anche le idee tradizionali e ricevute della gente, hanno condannato a morte, allontanato, punito.

Nell’impresa scientifica, per come l’abbiamo introiettata comunemente, il passaggio dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza è sempre osteggiato, anche se non sempre in modo cruento. Ricordiamo ancora tutti il braccio di ferro tra il medico Di Bella e il ministero della salute. Il medico si presentava con il suo camice da medico e con quell’aspetto da Einstein buono e quasi ingenuo, presentando un cocktail di farmaci contro il cancro che era l’uovo di Colombo, un po’ come dire che la Terra gira attorno al Sole, mentre dall’altra parte la ministra Bindi, politica di professione, parlava di protocolli, di verifiche, di impossibilità, come una tolemaica che maneggia incomprensibili equanti ed epicicli a difendere inconfessabili interessi.

Del resto nessuno saprebbe spiegare la teoria della relatività, ma tutti sanno che Einstein faceva le linguacce e andava in bicicletta e che alle elementari andava male in matematica (anche se questo dettaglio è discutibile) e quindi era un tipo strano, tutto genio.  Un genio come Newton, che se ne stava tutto il giorno a dormire sotto un albero, poi gli cadeva in testa una mela e lui, genio, scopriva la gravità universale. L’essere un po’ strani, un po’ derisi, un po’ smanettoni e controcorrente – che forse è la traduzione depotenziata e fruibile del ricordo della persecuzione per la scienza – è un’immagine incorporata a quella del vero scienziato. Un po’ come “Doc” di Ritorno al futuro, incompreso nipote di Einstein e pronipote di Galileo e Newton, come probabilmente si sentono tutti questi antivaccinisti, che dell’impresa scientifica hanno assorbito gli aspetti folcloristici e falsi (che però si incrociano con altri aspetti del racconto della modernità che fanno sorridere molto meno).

Insomma, in questa macchina della razionalità, vera o presunta, che è la modernità, e che fa acqua da tutte le parti, l’irrazionalità (ma forse basterebbe dire l’irragionevolezza) di certi gruppi di antivaccinisti non è un corpo estraneo, non è solo ignoranza e arroganza, anche se lo è e non ha un briciolo di verità (se non quella di esistere che è la verità più interessante), ma è uno dei suoi percorsi impliciti, uno dei suoi esiti laterali, uno dei suoi costanti e numerosi sottoprodotti.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.