Aut Aut

Lunedì scorso Repubblica ha pubblicato una lunga e suggestiva intervista di Michele Smargiassi a Roberto Roversi, ultraottantenne poeta bolognese, nonché editore, libraio e anche autore di alcuni bellissimi testi di canzoni. Degli Stadio, per esempio, quali “Chiedi chi erano i Beatles” o “Bianco di gesso, nero di cuore”.

Dopo che nel 2007 aveva ceduto la sua antica libreria Palmaverde, di recente Roversi si è privato anche della sua biblioteca personale allo scopo di destinare ai più poveri il ricavato della vendita. Prevedibile che Smargiassi gli chiedesse, come prima domanda, quali libri avesse tenuto ancora per sé. La risposta di Roversi è stata disarmante: «È ovvio, quelli che devo ancora leggere». E poi ha aggiunto: «E anche quelli che voglio rileggere come se fossero nuovi. Qualche classico del Novecento e quelli dei miei vecchi amici: Vittorini, Bassani, Calvino, Volponi. Mi sono necessari per leggere tutto il resto, sono come un machete nella foresta tropicale».

Ho trovato questa metafora del machete meravigliosa. Più efficace di mille saggi su quanto la memoria, la memoria dei cari sia essenziale per comprendere il presente e orientarsi per il futuro, su come certi libri aiutino a tracciare sentieri inediti, svelare nuove direzioni, scorgere un raggio di sole, scoprire l’immacolato anche laddove tutto sembra spazzatura.

A proposito di spazzatura ha scritto martedì Adriano Sofri, sempre su Repubblica, evocando una sorta di possibile denominatore comune tra gli angeli del fango che arrivarono a Firenze nel 1966 per soccorrerla dall’alluvione e gli angeli della monnezza che dovrebbero aiutare oggi i napoletani a liberarsi dalle tonnellate di rifiuti che invadono la loro città: «Là c’erano i libri, qua la monnezza. Sgombrare dall’una vuol dire far posto agli altri, in tutti i sensi». Proprio così, soprattutto buoni libri possono liberarci dall’inquinamento, innanzitutto etico, che ci soffoca. E che restringe gli orizzonti fino a comprimerli del tutto.

Prendiamo la manovra economica appena presentata dal governo che posticipa il grosso dell’aggiustamento dei conti per il rientro dal pauroso debito pubblico che ci attanaglia al 2013-2014, cioè al dopo elezioni: a fronte dei 47 miliardi di euro necessari per ottenere il pareggio di bilancio in quella data si interviene per quest’anno con piccoli e confusi aggiustamenti per appena 1,5 miliardi. Irresponsabilità piena nei confronti del futuro e delle nuove generazioni di questo paese che ha un debito pubblico che ormai viaggia sull’ordine dei duemila miliardi di euro (1890,6 miliardi ad aprile), una «bomba a orologeria» l’ha ribattezzata Bersani, «una decisione estremamente arrischiata e pericolosa» l’ha definita ieri sul Messaggero Romano Prodi, per il quale «non è difficile interpretarla come segno dell’incapacità di prendere le necessarie misure da parte del governo e quindi come una manifestazione della poca credibilità di tutta la manovra». Insomma, siamo in una palude e non si riesce ad uscirne.

Non mi piace particolarmente rileggere per intero un libro (almeno così è stato finora). Poiché però ho l’abitudine di evidenziare le cose che più mi colpiscono durante la lettura, ci sono alcuni libri cui sono particolarmente affezionato e che riapro non di rado proprio per la gran quantità di sottolineature che contengono. Verifico se col passare del tempo sono rimasto sempre dello stesso avviso circa un pensiero, una suggestione, un’idea.

Ce n’è uno poi che tiro via con una certa frequenza dalla libreria ed è Aut Aut di Soren Kierkegaard, dove l’aut aut sta ad indicare la scelta tra il vivere in modo etico o estetico. Detto in breve con parole sue:

«Il mio aut aut non indica la scelta tra il bene e il male. Indica la scelta con la quale ci si sottopone o non ci si sottopone al contrasto di bene e male. Chi vive esteticamente non sceglie. Poiché l’estetica non è il male ma l’indifferenza, è l’etica a fondare la scelta. Perciò non importa scegliere di volere il bene o il male, quanto di scegliere il fatto di volere».

C’è quindi più avanti una pagina in cui tutto appare più chiaro:

«Dunque io lotto per la libertà, per il futuro, per l’aut aut. Questo è il tesoro che intendo lasciare a quelli che amo. Se il mio figlioletto fosse adesso nell’età di potermi comprendere e fosse giunta la mia ultima ora, gli direi: non ti lascio né sostanze né titoli, né onori; ma so dove giace un tesoro che ti può far più ricco di ogni cosa al mondo, e questo tesoro ti appartiene e di esso non devi ringraziare me, perché non voglio che il tuo spirito abbia a soffrire nel dovere tutto a una persona: questo tesoro è sepolto nel tuo interno, è un aut aut che rende gli uomini più grandi degli angeli».

La costante di questi tempi è che tutti pongono aut aut agli altri (Marchionne alla Fiom, Bossi a Maroni, Di Pietro a Bersani, Marcegaglia a Berlusconi, Berlusconi a tutto il mondo che la pensa diversamente da lui) ma quasi nessuno pone “aut aut” a se stesso. Questo è il punto. Questo è il terreno formidabile su cui una rinnovata coscienza civile avrebbe da profondere tanto impegno pedagogico. Imbracciando, quando necessario, anche il “machete”.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com