Tutti i fallimenti di Berlusconi sulla Giustizia

L’abbraccio Berlusconi-Pannella, purtroppo, rappresenta anche il totale e clamoroso fallimento di vent’anni di politica berlusconiana sulla giustizia, e – di passaggio – anche lustri di abbagli sui Radicali regalati alla sinistra che nel frattempo ha sempre provveduto a narcotizzarli e disinnescarli a dovere. Il Berlusconi che firma referendum per strada con lo stesso potere di un qualsiasi altro cittadino, cioè, non riassume soltanto «la determinazione con cui persegue l’obiettivo», come ha scritto Libero domenica, ma costringe a una presa di coscienza degli spaventosi errori che il centrodestra (cioè Berlusconi) ha compiuto di recente e nondimeno in vent’anni di politica sulla giustizia: una politica che è a tratti è stata reazionaria, biforcuta, anche forcaiola, più spesso inefficace prima ancora che ad personam. Ecco perché coloro che sin dal 1994 avevano a cuore essenzialmente la giustizia – ancor prima di avere a cuore Berlusconi – oggi hanno diritto più di altri ad avercela con lui, e, soprattutto, ad avercela coi disgraziati che l’hanno consigliato, probabilmente incarnati da quella stessa «destra» un po’ troppo «destra» che di liberale non ha mai avuto nulla, e che è parsa, spesso, soltanto come l’altra faccia del forcaiolismo di sinistra.

Sulla giustizia gli errori più recenti li conosciamo, anzi no, forse non li conosciamo abbastanza. In primis la Legge Severino, che – è l’opinione di chi scrive, come ovviamente tutto questo articolo – non ha il problema di essere anticostituzionale, ha il problema che è un orrore a prescindere; mettere le liste elettorali nelle mani della magistratura, prima che degli elettori, non è mai stata una buona idea. Ma per questo genere di dibattito non c’è più spazio, e tantomeno ce ne fu nel Natale 2012, quando sulla Riforma Severino fu apposto il timbro finale dopo sì delle commissioni di Senato e Camera dove il centrodestra aveva la maggioranza. Il Popolo della Libertà, falchi o colombe che fossero, fu uccellato da se stesso. Qualcuno si è divertito a elencare altri clamorosi autogol del Cavaliere: quando decise di non ricorrere al condono tombale offerto dal «suo» ministro Tremonti nel 2002 (il che l’avrebbe messo in regola con qualsivoglia frode fiscale) e nondimeno con il demagogico inasprimento delle pene per la prostituzione minorile promosso dal «suo» ministro Carfagna nel 2008 (che avrebbe reso più serena qualsivoglia «festa elegante»).

Però non ci sono solo gli autogol: sempre in tema di giustizia c’è il semplice non-fatto o non-riuscito degli ultimi vent’anni (ciò che ora spinge da Pannella) ma poi ci sono altre categorie di disfatte: le leggi ad personam-personam; le leggi ad personam che partivano da Berlusconi ma potevano servire a tutti; le leggi buone e riuscite, col dettaglio che le ha fatte la sinistra; le leggi demagogiche e illiberali, col dettaglio che le ha fatte la destra. Vediamo nel dettaglio.

1) Tra il non fatto o non riuscito figura quasi tutto quello che ora compare nei referendum radicali, ma che pure compariva, con piccole differenze, nella riforma Alfano presentata nel 2011: separazione delle carriere tra giudici e pm, sdoppiamento del Csm, modifiche sull’obbligatorietà dell’azione penale, polizia giudiziaria autonoma, inappellabilità delle sentenze di assoluzione, responsabilità civile dei giudici e limiti alle intercettazioni. Tutta roba di cui si parla vanamente da vent’anni.

2) Tra le leggi ad personam-personam rientrano quella sulle rogatorie (2001) e la Cirami (2002) e i vari lodi Maccanico-Schifani-Alfano (2003-2008) e il legittimo impedimento (2010) più altre di cui scegliamo volutamente di non occuparci, ascrivendole a un diritto supplementare di autodifesa di Berlusconi: tentativo comunque fallito, va detto.

3) Tra le leggi ad personam che potevano essere utili a tutti, sacrosante, osiamo infilare il famigerato Decreto Biondi (1994) che in origine si proponeva di limitare l’abuso della custodia cautelare, abuso che c’era in proporzioni insopportabili: ma il Decreto fu penosamente disconosciuto dal riflesso piazzaiolo di Lega, An e Scalfaro. Poi ci mettiamo anche la cosiddetta ex Cirielli (2005) che ha ridotto la prescrizione per gli incensurati e ha eliminato la galera per ultrasettantenni: tutto giusto, ma è una legge che ha fatto anche pasticci – utili a Berlusconi, in qualche caso – tanto che oggi appare come una legge da ricalibrare. La legge cosiddetta Pecorella (2006) invece aboliva il ricorso in Appello dei pm quando l’imputato era stato assolto, un provvedimento ineccepibile e che andrebbe riproposto: ma è stato cassato dalla Corte Costituzionale e qui niente da dire, ogni lagnanza berlusconiana sull’impotenza della politica e sullo strapotere dei giudici è pienamente giustificato.

4) Eccoci alle leggi riuscite. In sostanza è una sola, benché fondamentale per lo stato di diritto: la riforma dell’articolo 513 («giusto processo») che vietava e vieta di utilizzare a dibattimento, se non confermati in aula, i verbali d’interrogatorio ottenuti dal pm durante le indagini preliminari. È una riforma elementare e che ci ha messo in linea con tutti i paesi di cosiddetta common-law, ma che dovette scontrarsi con una bocciatura della Corte Costituzionale prima di essere perfezionata cambiando la Costituzione nel 1999. La lezione non fu imparata se non tardivamente: che la giustizia, in Italia, si può cambiare solo mettendo le mani sulla Costituzione. Il dettaglio è che la riforma del 513 non fu una legge propriamente di centrodestra, che pure ne ha beneficiato: comparve dapprima nella cosiddetta «bozza Boato» della Bicamerale (1997) e fu approvata da tutto l’arco parlamentare sotto il governo D’Alema.
Un altro provvedimento giusto e riuscito, benché impopolare, è l’indulto del 2006: decretava tre anni di pena (ora ne fruisce anche Berlusconi) e incideva sullo scandaloso e irrisolto sovraffollamento carcerario, ma fu fatto dal Parlamento sotto il governo Prodi (contrari Idv, An e Lega) e il successivo governo Berlusconi, nonostante gli sforzi personali di Alfano, non compensò il lavoro con un adeguata riforma carceraria. Pare beffardo, oggi, che il Popolo delle libertà si allei con gli stessi radicali che vorrebbero abrogare le leggi sull’immigrazione e sulle droghe: proprio le leggi, cioè, che hanno riempito le galere, e che furono varate proprio dai governi berlusconiani.

5) Ed eccoci infine all’attività legislativa sulla giustizia ma su temi non berlusconiani: attività che è esistita ma che purtroppo in vent’anni ha trasformato i garantisti nella minoranza sputtanata che sono. Parliamo delle ridicole proposte di retate per i frequentatori di battone sui viali, dell’inasprimento propagandistico del 41bis in una chiave che gli organismi internazionali, spesso, equiparano alla tortura; del tentativo di legiferare sul nostro privato – il testamento biologico – dopo che per anni si aveva difeso il privato di un uomo solo, per quanto svilito a un problema di cubiste del giro dello spettacolo. Ma ci sono altre cosucce.
A livello politico c’è l’aver svenduto la carcerazione di un parlamentare, Alfonso Papa, al malcontento popolare, mentre a livello civile c’è non aver approntato un vero piano carceri perché il costruirle non porta voti, e tantomeno porta voti il proporre misure alternative anche normali – ma poco virili – come gli arresti domiciliari per chi ha quasi finito di scontare la pena. Gli oppositori a queste misure sono sempre stati perlopiù di centrodestra. I governi berlusconiani hanno indubbiamente teso a sparpagliare più carcere per nuovi reati, così come hanno approvato la detenzione nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) sino a 18 mesi, luoghi dove si può finire anche senza aver commesso illeciti.

Ma l’emblema della demagogia securitaria, del garantismo trasformistico, resta l’obbligo di custodia cautelare per gli accusati di stupro, probabilmente il provvedimento meno garantista degli ultimi vent’anni: è la legge che prevedeva il carcere automatico per tutti i sospettati (solo sospettati) di violenza sessuale e pedofilia, un’ennesima norma ignorante e «Carfagna» che il governo varò frettolosamente quando sembrava che in giro ci fossero solo romeni che stupravano donne: e invece, parentesi, era la classica bufera mediatica, sia perché molti accusati erano innocenti, sia perché gli stupri risultavano inferiori agli anni precedenti. La consulta per fortuna cassò tutto nel 2010.
No, non stiamo parlando d’altro: perché tocca ripetere che il carcere obbligatorio, senza che un giudice possa valutare da caso a caso, dovrebbe esserci solo per i colpevoli accertati da un giudizio: si chiama presunzione di non colpevolezza, e il principio è di un’ovvietà tale – il carcere dev’essere obbligatorio per i colpevoli accertati, non per gli innocenti ancora da processare – che le proteste rivolte contro la Consulta da parte del controdestra, in quell’occasione, restano una pagina nera del sedicente garantismo di questo Paese. Anche perché parliamo della stessa Consulta a cui il centrodestra vorrebbe ricorrere, ora, perché esamini una legge che lo stesso centrodestra ha votato poco tempo fa. Un’impotenza doppia. Come a dire: siamo inetti, non sappiamo fare le leggi, magistratura, provvedi tu, muoviti tu. Ma, a bene vedere, è proprio quello che accade da vent’anni.

(questo articolo è uscito sul quotidiano Libero)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera