La giusta indifferenza

Vorrei solo ripetere una cosa semplice ma che pare ardua da comprendere: che lo scalcagnato esercito «razzista» non si combatte contrapponendogli un altro esercito «antirazzista», il quale, partendo da un’uscita di Calderoli a Treviglio, faccia esplodere una bomba mediatica internazionale. Non serve combattere le guerre già vinte: non è che il razzismo sarà sconfitto quando avremo dieci ministri come la Kyenge, ma sarà sconfitto quando l’etnia originaria sarà irrilevante al pari delle battute infantili.
Negli Usa è presidente un uomo nero, ed è stato uno straordinario punto d’arrivo: ma il prossimo grande balzo sarà non notarlo neppure. Quando fu eletto la prima volta, invece, i 
titoli dei giornali italiani si soffermarono sul colore delle sua pelle come nessun altro giornali d’Occidente: il Riformista con «L’uomo nero», Libero con «Strano ma nero», il Manifesto con «Indovina chi viene a cena», Liberazione addirittura con «Black Power». E via così. Fu provincialismo, certo, ma è anche una forma di razzismo blando e inconsapevole, a fin di bene: perchè il razzismo non è solo l’essere intolleranti con il diverso, ma è anche il sottolineare ogni volta che comunque è diverso. È lo stesso Obama a non aver fatto della sua razza un’identità politica, anzi, ha sempre detto che l’epoca delle identità declinate in politica lui avrebbe voluto chiuderla: è americano, punto.
Non serve essere anti-razzisti: basta essere normali, non badare neppure a certe sciocchezze, lasciarle macerare nel dimenticatoio della Storia o se volete a Treviglio. Altrimenti l’antirazzismo diventa una forma di razzismo blando, inconsapevole, a fin di bene: perché razzismo non è solo l’essere intolleranti con il diverso, ma è anche il sottolineare, ogni volta, che comunque è diverso. Per questo le battute sui nani sono peggiori di quelle sui neri: perché le prime mirano a un incolpevole difetto fisico, a uno svantaggio innegabile, mentre le seconde mirano al nulla, perché il colore è un dettaglio senza conseguenze.  Non dovrebbe impedirti di diventare ministro, il colore, e neppure aiutarti a diventarlo.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera