I 20 anni di Friends

La prima puntata di Friends andò in onda il 22 settembre del 1994, 20 anni fa.

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Rachel Green (Jennifer Aniston) sta per lasciare una famiglia che potrebbe essere quella di una qualunque serie tv e sta per entrare in una famiglia che potrebbe essere una di quelle di Desperate Housewives, invece, già in abito da sposa, scappa dall’altare e non avendo idea di dove potersi nascondere si rifugia in bar. Oltre la porta si apre un mondo che non esisteva, per lei come per noi. Vent’anni fa, il 22 settembre 1994, l’Nbc mandava in onda il primo episodio di Friends e inventava televisivamente i trentenni. Certo c’era già da un po’ Seinfeld che aveva mandato in pensione la famiglia come centro della sit-com, e c’era già stato Cheers che aveva spostato la frustrazione familiare dal salotto a un bar in cui ciascuno portava la sua. (E c’era già stato anche Thirtysomething quantomeno ad arricchire il vocabolario). Ma quella di Seinfeld era una rivoluzione, ci portava in un mondo unico e fantastico, reale solo per sinestesia, Friends invece si limita a riformare e rappresenta, in una sitcom, i trentenni come ci sembra siano sempre esistiti.

Qualche anno fa, Jon Savage ha scritto un libro sull’invenzione dei giovani, dei teenager soprattutto, visto che l’idea di giovani che a noi appare immediata è in realtà un concetto molto recente. Scriveva: “Gli alleati hanno vinto la guerra nel momento preciso in cui stava uscendo dalla catena di montaggio l’ultimissimo prodotto: il teenager […] questo nuovo tipo era veramente all’altezza psichica dei tempi, viveva nel presente, cercava il piacere, era affamato di prodotti, incarnava la nuova società globale in cui l’inserimento sociale sarebbe stato garantito dal potere d’acquisto”. Happy Days era la realizzazione televisiva di questi teenager.

Ma i neet, i roommates, i trentenni che spendono un mese per correggere un articolo, quelli che hanno un progetto, quelli che non vogliono chiedere soldi a papà ma alla fine sì però senza farsi vedere, quelli che vivono nella città più fica del mondo facendo i camerieri part-time, quelli che attendono l’occasione, che chiacchierano tutto il giorno di fidanzati e fidanzate, (oggi si mostrerebbero le chat di whatsupp – ma Friends ha pure la sua puntata a tema Facebook), il bar con la password davidfosterwallace14 dove ordinare una volta e stare seduti tre ore, il tizio che vorrebbe fare l’artista ma non sa nulla di nulla, il pedante con le opinioni non interessanti, il sarcastico per forza, il desiderio di vivere assieme anche quando si potrebbe vivere da soli, quelli che sono, comunque, insoddisfatti del lavoro e di qualcosa anche se, come spiega Joey, “forse, perché siete seduti a un bar alle dieci e mezza del mattino”, lo spostamento in avanti dell’essere teen fino ai 35 anni sono in tv un’invenzione di Friends.

Quando, poco più di un anno fa, è stato realizzato un numero speciale di IL con una classifica delle migliori serie tv di sempre, io avrei voluto scrivere di Friends e davo per scontato ci fosse. Non lo era. E non per una scelta stravagante, in tutte le classifiche che ogni tanto appaiono con le dieci, le cinquanta, le cento migliori serie tv di sempre, Friends non risulta praticamente mai ai primi posti. (Per Tvguide 21esimo, per Writers Guild of America 28esimo). La ragione più scontata è, ovvio, che, non c’è nome della rosa che tenga, il tragico viene sempre più rispettato del comico. Ma fossero anche considerati alla pari, per quanto si possa adorare Friends è assurdo sostenere sia la serie più divertente di sempre. Né si trova supporto al primato nei numeri visto che durante gli anni di messa in onda Friends risulta spesso dietro Seinfeld o Er (una stagione perfino dietro Suddenly Susan, quello con Brooke Shields per chi lo ricorda).

Ma soprattutto manca dalle classifiche perché quando le facciamo, quando esprimiamo le nostre preferenze vorremmo sentirci profondi come Don Draper, risoluti come Walter White, stronzi onesti infedeli e innamorati come Jimmy McNulty quando in realtà siamo semplicemente dei Ross Geller e cioè dei tizi a cui non è ancora passata la cotta per quell’amica di nostra sorella piccola che non ci cacava di striscio, che intrattengono conversazioni noiose sui dinosauri o sull’odore del gas che viene solo aggiunto a posteriori e non è invece davvero odore del gas. Siamo più simili al sarcastico che riempie vuoto e noia con la battutina ma avrebbe solo voglia di chiudersi in un angolino in silenzio a fumare o a quella che ricorderà come la più grande impresa della sua vita l’essere dimagrita venti chili, o quella che sogna l’amore ma che alla fin fine sposa il noioso che le va dietro da sempre.

E però se non fa ridere più di tutti, né era il più visto, perché dovrebbe stare in una di quelle classifiche, allora? Perché lo puoi replicare sempre. Friends è stato zeitgeist (dalla seconda stagione in poi a voler essere puntigliosi) non solo durante la messa in onda ma tuttora. Friends è perfetto per la replica ossessiva. Per il tappabuchi. La grandezza di Friends sta non solo nell’aver rappresentato per prima qualcosa ma nell’aver creato una storia che fosse duratura, e replicabile. E infatti ancora viene trasmesso continuamente ovunque senza criterio o continuità. Citata di continuo (solo i Simpson così), come fosse un classico. Giurerei di aver trovato una puntata di Friends ogni volta che ho acceso una tv all’estero. Sono certo di essermi svegliato due volte negli ultimi due mesi alle sei del mattino e di aver trovato due volte su due lo stesso episodio. E tra un anno le repliche di Friends saranno ancora lì, magari in un orario appena migliore, alle otto del mattino, o su un altro canale, prima del film della sera. Poi torneranno alle due del pomeriggio, scompariranno le repliche di How I Met your mother e Friends resisterà

 

Arnaldo Greco

(1979) Ho pubblicato un paio di libri per Fandango. E, ogni tanto, scrivo per qualche rivista. Ma vivo e ho due bambini grazie al fatto che il mio nome scorre nei titoli di un programma tv.