L’universo senza inizio di Einstein

Se avete letto Cosmicomic (o anche Il buio oltre le stelle), sapete che a Albert Einstein non andava proprio giù l’idea che l’universo avesse avuto un’origine. Il primo modello cosmologico proposto da Einstein nel 1917 (che poi è anche il primo modello cosmologico moderno, ovvero basato sulla teoria della relatività generale) descriveva un universo statico, che non cambiava nel tempo. Nel 1929, in seguito alle osservazioni e agli studi di Edwin Hubble e Milton Humason, venne fuori che le galassie si allontanavano con una velocità proporzionale alla loro distanza, e il modello statico di universo fu abbandonato. L’allontanamento delle galassie fu interpretato come un’evidenza che l’universo fosse in espansione a partire da un momento definito nel passato. Da qui iniziò la storia del modello del “big bang”, che oggi sappiamo essere la migliore descrizione dell’evoluzione dell’universo osservabile. (Per inciso, l’ipotesi che Einstein introdusse per rendere statico l’universo, la cosiddetta “costante cosmologica”, fu inizialmente considerata la sua più grande cantonata, ma poi è tornata in auge e oggi è uno dei grandi problemi aperti della fisica teorica.)

Ma, a quanto pare, Einstein non gettò la spugna molto facilmente. Si scopre, racconta Nature, che nel 1931, consapevole dei risultati di Hubble, egli tentò di elaborare un modello in cui l’universo, pur espandendosi, restava, in media, sempre nelle stesse condizioni fisiche. Non un modello statico, quindi, ma “stazionario”. In pratica, un universo perennemente uguale a se stesso, senza un’origine definita nel tempo, in cui la diminuzione di densità dovuta all’espansione viene compensata da una continua creazione di materia. Qualcuno riconoscerà in questo tentativo un’anticipazione del modello che, molti anni più tardi, diventò l’unico vero rivale del big bang, prima di essere confutato dalla scoperta della radiazione cosmica di fondo: il modello di stato stazionario proposto da Hoyle, Bondi e Gold.

Il modello stazionario di Einstein è venuto a galla recentemente tra le carte conservate nell’archivio Albert Einstein della Hebrew University of Jerusalem. I calcoli compaiono all’interno di quattro pagine scritte a mano, in tedesco, fino a oggi ritenute la bozza di un articolo pubblicato da Einstein nel 1931. Ma secondo gli autori di uno studio apparso all’inizio di febbraio su Arxiv (che contiene anche la traduzione inglese degli appunti), le cose non stanno esattamente così. Il modello stazionario abbozzato nel manoscritto, infatti, non appare nell’articolo del 1931 e non fu mai più pubblicato da Einstein, né se ne trovano altri riferimenti in lavori successivi. Perché? Il suggerimento degli autori dello studio è che Einstein si accorse che il modello era fondamentalmente sbagliato, e che tentare di salvarlo avrebbe richiesto ipotesi troppo artificiose, come, appunto la continua creazione di materia: a questo proposito, va notato che Einstein nel 1952, ormai rassegnato, giudicò l’ipotesi di Hoyle “troppo poco fondata per essere presa sul serio”.

Dunque, non solo Einstein si fece sfuggire la possibilità di prevedere teoricamente la scoperta dell’espansione dell’universo, ma rischiò anche di sbagliare di nuovo, diventando un precursore dello stato stazionario. Questa seconda volta gli andò bene, ma l’episodio mostra ancora una volta quanto sia travagliato e non lineare il cammino della scienza e come i pregiudizi personali – anche quelli di Einstein – contino poco di fronte alla realtà delle cose.

Amedeo Balbi

Amedeo Balbi, astrofisico, è ricercatore all'Università di Roma Tor Vergata. Il suo (altro) blog è Keplero. I suoi libri su Amazon. Twitter: @amedeo_balbi