I primi due macachi clonati col metodo Dolly

Un gruppo di ricercatori in Cina ha prodotto due primati non umani identici col sistema già usato con la pecora Dolly: è un risultato storico

(Sun Qiang and Poo Muming/Chinese Academy of Sciences via AP)
(Sun Qiang and Poo Muming/Chinese Academy of Sciences via AP)

Un gruppo di ricercatori in Cina è riuscito per la prima volta a clonare due primati non umani, utilizzando la stessa tecnica sfruttata per la pecora Dolly più di 20 anni fa. Il risultato è ritenuto storico negli studi sulla clonazione e, in futuro, potrebbe portare alla produzione di primati geneticamente identici per studi in campo medico. Il sistema utilizzato per produrre i due cloni ha comunque comportato numerosi fallimenti e ha diverse complicazioni, quindi è ancora presto per parlare di una tecnica di clonazione affidabile e che possa essere applicata su larga scala, anche per gli esseri umani.

Il lavoro di ricerca è stato coordinato da Mu-ming Poo, direttore dell’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia delle Scienze di Shanghai, e i suoi risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cell. Finora i tentativi per clonare primati utilizzando il sistema impiegato per Dolly non erano andati a buon fine: avevano permesso di produrre embrioni, che però non riuscivano poi a svilupparsi in animali completi. La tecnica consiste nel creare un nuovo essere vivente con le stesse informazioni genetiche dell’organismo di partenza. Per farlo si preleva il nucleo da una cellula somatica adulta, cioè una cellula che fa parte di un tessuto e che fa una sola cosa a differenza di quelle non specializzate, che si formano nelle prime fasi di esistenza di un organismo.

Semplificando molto, nel nucleo di ogni cellula sono racchiuse tutte le informazioni genetiche di un organismo: le istruzioni di base per farlo funzionare e sviluppare. Il trasferimento di nucleo consiste nel prelevare queste informazioni da una cellula e di inserirle in un ovocita (la cellula uovo in uno stadio non completo), da cui è stato rimosso il nucleo originario. La cellula ibrida ottenuta viene stimolata, tramite una scossa elettrica, in modo che avvii la divisione cellulare in vitro, quindi fuori da un organismo vivente. La moltiplicazione delle cellule porta alla blastocisti, una delle prime fasi dell’embrione, e a questo punto è possibile procedere con il suo impianto nell’utero della madre surrogata che porterà avanti la gravidanza, fino alla nascita del nuovo individuo. In questo modo si ottiene un clone dell’organismo di partenza, a differenza di una normale fecondazione in cui sono messi insieme il patrimonio genetico della madre e del padre.

Questa tecnica aveva permesso di ottenere la clonazione di Dolly, mentre per lungo tempo non aveva portato a risultati rilevanti per clonare i primati. Poo e i suoi colleghi sono riusciti a farlo utilizzando nuovi strumenti, come microscopi più potenti che hanno permesso di lavorare con maggiore precisione, utilizzando composti per riprogrammare le cellule dal punto di vista genetico. La tecnica deve essere ancora perfezionata: ha permesso di produrre due soli macachi in un test su larga scala che ha coinvolto 60 madri surrogate. I ricercatori sono inoltre riusciti a riprogrammare le cellule da tessuti prelevati da feti, non da animali adulti come era avvenuto con Dolly.

Le due scimmie gemelle nate dalla clonazione sono macachi di Giava (Macaca fascicularis) e sono stati chiamati Zhong Zhong e Hua Hua, nomi che in mandarino ricordano la Cina e il suo popolo. Sembrano essere in salute e piuttosto attive, dicono i ricercatori.

Secondo Poo, il sistema utilizzato dal suo gruppo di ricerca potrà essere sfruttato per produrre un alto numero di cloni di uno stesso animale. Potranno inoltre essere programmati geneticamente per rendere più semplice lo studio di particolari malattie, sperimentando farmaci di nuova generazione con un effetto più mirato. Non tutti sono però convinti sulla necessità di avere batterie di primati identici per la sperimentazione: soprattutto in Occidente, l’utilizzo di scimmi e primati non umani in laboratorio è sempre meno comune, perché mantenere questi animali è costoso e sono ormai disponibili altri sistemi per sperimentare i farmaci, o simularne i loro effetti. In Cina le cose funzionano diversamente e i primati sono utilizzati con una certa frequenza, e questo spiega in parte le conclusioni dello studio. Poo pensa che quando saranno evidenti i vantaggi di avere batterie di primati identici, anche in Occidente riprenderanno sperimentazioni mirate con i cloni ottenuti con il suo metodo.

In alcuni ambiti la ricerca sui primati può comunque dare informazioni preziose, come nel caso della malattia di Alzheimer, dove si pensa che influiscano diversi altri fattori oltre a quelli genetici. Poo ritiene che i primati clonati potrebbero essere utilizzati anche nello studio dei trattamenti contro il Parkinson o di particolari forme di tumore. Il dibattito sull’uso degli animali, e nello specifico dei primati non umani, continua comunque da tempo nella comunità scientifica e in molti ritengono che non ci siano prove sufficienti per dire che non ci siano alternative al loro utilizzo.

La tecnica di Poo pone anche numerosi problemi etici e morali, perché in linea teorica potrebbe essere applicata un giorno anche sugli esseri umani. Poo dice comunque di essere ottimista: “Non penso che le società, l’opinione pubblica e i governi possano mai autorizzare l’estensione di questo metodo oltre i primati non umani”.