• Scienza
  • Mercoledì 27 settembre 2017

Un paziente in stato vegetativo ha recuperato uno “stato minimo di coscienza”

Grazie a un trattamento sperimentale che prevede la stimolazione elettrica di alcune parti del sistema nervoso, ma ci sono molti dubbi sulla sua efficacia

In Francia un uomo in stato vegetativo da 15 anni ha recuperato uno “stato minimo di coscienza” grazie a una terapia sperimentale, che prevede l’utilizzo di scosse elettriche a bassissima intensità nel sistema nervoso. I risultati dell’esperimento sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Current Biology e stanno facendo molto discutere neurologi ed esperti: secondo i ricercatori potrebbe essere un importante passo avanti per rendere nuovamente coscienti le persone in stato vegetativo, mentre per i più scettici lo studio non ha chiaramente dimostrato che il trattamento porti benefici e non ha escluso altre variabili nella gestione del paziente.

L’esperimento è stato condotto presso l’Istituto di scienze cognitive “Marc Jeannerod” di Lione ed è stato coordinato dalla neuroscienziata Angela Sirigu, che da tempo lavora con il suo gruppo di ricercatori a nuovi sistemi per stimolare il sistema nervoso. I test hanno coinvolto un uomo di 35 anni che – quando ne aveva 20 – ebbe un incidente stradale: nel forte impatto subì un grave danno cerebrale, con la conseguente perdita di coscienza diventata permanente. In tutto il mondo le persone in condizioni simili sono centinaia di migliaia: anche se apparentemente non rispondono a tutti gli stimoli, il loro cervello non è necessariamente “morto”. Test strumentali hanno rilevato che alcuni pazienti mantengono i classici cicli sonno-veglia, per esempio, o che parte delle aree del cervello si attivano, seppure per tempi brevi e con andamenti imprevedibili. Con le attuali conoscenze, i medici tendono a definire “permanente” uno stato vegetativo che dura da più di un anno.

Sirigu e il suo team si sono chiesti se sia invece possibile ripristinare uno stato, seppur minimo, di coscienza nel loro paziente in stato vegetativo da 15 anni. Gli hanno impiantato un dispositivo nel petto che invia debolissime scariche elettriche (circa un centesimo rispetto a quelle che fanno funzionare un orologio da polso) al nervo vago, uno dei più ramificati e importanti tra i nervi cranici, che si prolunga verso l’addome e mette in comunicazione il cervello con il cuore, i polmoni e buona parte del tratto digestivo. La stimolazione nervosa è usata da tempo per ridurre i sintomi legati all’epilessia, ad alcune forme di mal di testa e alla depressione: i medici sanno che funziona relativamente, ma non hanno ancora capito di preciso come. I ricercatori a Lione hanno puntato sul nervo vago, perché tra le altre cose innerva anche il talamo, una struttura del sistema nervoso centrale con molte funzioni, alcune delle quali legate ai processi di coscienza e di consapevolezza.

I neurologi sanno da tempo che una stimolazione elettrica del talamo permette di portare temporaneamente una persona in uno stato di coscienza minima. Sirigu ha quindi pensato di provare a rendere costanti e prolungati gli impulsi verso quell’area del cervello, per vedere se si potessero raggiungere progressi migliori e più duraturi. Nel loro studio, i ricercatori scrivono che dopo un mese il paziente ha mostrato una capacità, seppure estremamente ridotta, di interagire con il mondo: ha recuperato l’abilità di girare la testa se gli viene richiesto di farlo e di seguire il movimento di un oggetto con gli occhi. Le analisi strumentali hanno inoltre rilevato un aumento delle theta, un tipo di onde cerebrali che sono collegate ai cicli del sonno e della coscienza. L’esperimento è proseguito per altri nove mesi senza riscontrare ulteriori miglioramenti, ma nemmeno peggioramenti o il ritorno in uno stato vegetativo completo.

Sirigu e colleghi nel loro studio propongono qualche ipotesi sul perché il loro sistema sembri funzionare. La principale è che il talamo del paziente abbia continuato in tutti questi anni a inviare segnali al resto del sistema nervoso, ma senza riuscire a farsi sentire perché buona parte delle sue vie di comunicazione erano state interrotte dall’incidente. La stimolazione elettrica indotta dai ricercatori avrebbe quindi ripristinato la trasmissione delle informazioni consentendo al cervello di elaborarle.

Anche se i risultati ottenuti a Lione sono incoraggianti, è ancora molto presto per parlare di una terapia che possa rendere cosciente una persona in stato vegetativo. L’esperimento è stato condotto su un solo paziente, ma se sarà esteso si incontreranno numerose variabili che porteranno a risultati diversi e più articolati. I neurologi più scettici hanno del resto identificato già alcuni elementi dell’esperimento in Francia che potrebbero avere contribuito al risultato: il paziente ha subìto numerose stimolazioni prima e durante i test, comprese quelle dell’intervento chirurgico per impiantargli il dispositivo che emette le scosse e quelle dei numerosi esami strumentali. In queste condizioni, non si può escludere che il minimo recupero di coscienza sia dovuto a più fattori, che vanno oltre la somministrazione delle scosse elettriche.

Test come quelli eseguiti da Sirigu e colleghi richiedono molto tempo e notevoli quantità di denaro, quindi sono difficili da riprodurre su altri pazienti. La conclusione che dopo un anno di stato vegetativo non ci siano possibilità di miglioramenti è un ulteriore ostacolo, perché riduce le possibilità di ottenere finanziamenti. Ricerche di questo tipo sono molto importanti per comprendere meglio come funzionano cervello e sistema nervoso, ma rischiano di creare false speranze tra parenti e amici di persone in stato vegetativo da anni, che comprensibilmente vorrebbero assistere a qualche miglioramento delle loro condizioni.