Un tetraplegico è tornato a muoversi grazie a un chip impiantato nel cervello

Con un computer che dialoga con la sua corteccia cerebrale, riesce a muovere braccio e mano destra

Ian Burkhart durante uno degli esercizi per recuperare i movimenti della sua mano destra (Jo McCulty/Ohio State University Wexner Medical Center via AP)
Ian Burkhart durante uno degli esercizi per recuperare i movimenti della sua mano destra (Jo McCulty/Ohio State University Wexner Medical Center via AP)

Un uomo tetraplegico di 24 anni ha ripreso a muovere in parte il suo braccio destro e la mano grazie ad alcuni sensori impiantati nel suo cranio, che inviano i segnali dal cervello ai muscoli attraverso la mediazione di un computer. I risultati ottenuti in quasi due anni di sperimentazione sono stati definiti molto promettenti e hanno permesso ai ricercatori di scoprire nuove cose su come il sistema nervoso centrale (cervello e midollo) si adatta alle lesioni subite. I progressi ottenuti con questo sistema non hanno precedenti e potrebbero portare un giorno a nuove soluzioni per trattare le paralisi, di natura traumatica o dovute a malattie del sistema nervoso.

Ian Burkhart aveva 19 anni quando ebbe un grave incidente mentre stava facendo surf lungo la costa del North Carolina, negli Stati Uniti: vide arrivare un’onda e si tuffò pensando che in quel punto l’acqua fosse profonda a sufficienza, senza sapere che il fondale era invece più affiorante per la presenza di un banco di sabbia. Quando gli amici che erano con lui lo riportarono a riva, Burkhart non riusciva a muoversi; in seguito in ospedale gli fu confermato che nel tuffo si era fratturato il collo, con una grave lesione midollare. Il midollo spinale fa da tramite tra il cervello, i nervi spinali e il sistema nervoso periferico: se si interrompe, i segnali non passano correttamente determinando la paralisi al di sotto del punto della lesione. Dal giorno dell’incidente, Burkhart non ha più avuto il controllo delle sue gambe e delle sue braccia, fatta eccezione per qualche movimento delle spalle e del gomito: una condizione per cui a oggi non c’è cura.

Due anni fa un gruppo di ricerca guidato da Chad Bouton del Feinstein Institute for Medical Research di Manhassett (New York) si mise in contatto con Burkhart, proponendogli di partecipare a una sperimentazione sul recupero del movimento nelle persone tetraplegiche. Burkhart decise di partecipare alla sperimentazione, dice, per migliorare la sua condizione e offrire nuovi elementi alla scienza per aiutare gli altri. In una prima fase della ricerca, fu chiesto a Burkhart di osservare alcuni video in cui era mostrata una mano mentre effettuava diversi movimenti, e di pensare intensamente a quei movimenti, anche se non si potevano tradurre in effettivi spostamenti della sua mano paralizzata. Grazie a una risonanza magnetica funzionale, i ricercatori osservarono quali aree del suo cervello si attivavano quando pensava di imitare quei movimenti. Sulla base di queste informazioni, Burkhart fu sottoposto a una delicata operazione per impiantargli un chip nel cervello sopra la corteccia motoria, la parte coinvolta nella gestione dei movimenti volontari.

Burkhart

Il chip è collegato a una porta per la trasmissione dei dati, simile a quelle USB, assicurata nella calotta cranica di Burkhart: in due anni di lavoro ha permesso di ripristinare parte dei movimenti di braccio e mano destri. Alla porta nel suo cranio viene collegato un cavo che trasmette a un computer gli impulsi rilevati dal sensore nella corteccia cerebrale. Il software interpreta i segnali e li invia a un manicotto con diversi elettrodi, collegati ai muscoli del braccio di Burkhart per farli muovere.

Fare funzionare il sistema non è stato semplice, perché nessuno sa ancora di preciso come funzioni il nostro cervello quando elabora ed emette impulsi destinati ai muscoli: facciamo muovere le dita sullo schermo dello smartphone volontariamente, ma non dedichiamo un particolare sforzo cognitivo per farlo con consapevolezza. Burkhart ha quindi dovuto imparare a pensare intensamente a un movimento, cosa che è molto più complicata di quanto immaginiamo, mentre il computer ha dovuto imparare a interpretare quel pensiero.

Per mesi i risultati sono stati modesti, proprio perché Burkhart e computer parlavano due lingue diverse. Ma con ripetute prove e registrazioni degli stimoli inviati, alla fine macchina e uomo hanno iniziato ad andare d’accordo. A distanza di due anni, Burkhart ha recuperato la capacità di effettuare diversi movimenti, come versare un liquido da una bottiglia, prendere in mano una bacchetta, far passare una tessera in un lettore e recuperare oggetti di piccole dimensioni. Pensa intensamente a questi compiti, gli algoritmi del computer comprendono cosa ha pensato e di conseguenza inviano i segnali agli elettrodi per stimolare una reazione muscolare e quindi il movimento. Per Burkhart è un importante passo avanti, considerato che riesce a muovere le dita; ma comunque non ha nessuna esperienza sensoriale, perché le sue terminazioni nervose sulla pelle non possono trasmettere i loro impulsi al cervello.

In un certo senso, il sistema realizzato da Bouton e colleghi permette in parte di superare l’ostacolo che si creò durante l’incidente di cinque anni fa con la lesione midollare. In futuro, soluzioni perfezionate sulla base di questa esperienza potrebbero portare a sistemi per ripristinare artificialmente la comunicazione interrotta, consentendo di nuovo il movimento.

I risultati del lavoro su Burkhart sono stati di recente pubblicati sulla rivista scientifica Nature e stanno raccogliendo molto interesse in ambito scientifico, anche perché si tratta di qualcosa di unico nel suo genere. Lo studio dimostra che anche dopo anni le terminazioni nervose e i muscoli possono tornare a funzionare, nonostante siano rimasti sostanzialmente inutilizzati per lungo tempo. I ricercatori spiegano anche che Burkhart è riuscito a migliorare la qualità dei suoi movimenti sfruttando i muscoli nelle spalle e all’altezza del gomito che in parte già riusciva a controllare dopo l’incidente. La presenza di questi minimi movimenti pone qualche interrogativo sulla possibilità di ottenere risultati simili in altri pazienti, ma serviranno ulteriori ricerche per avere qualche risposta affidabile.

Ci sono inoltre molti dettagli da mettere a punto e perfezionare. Per ora Burkhart può muovere braccio e mano solamente in laboratorio, quando è collegato al macchinario, che non può essere portato in giro. Il computer deve essere inoltre ricalibrato ogni volta che inizia una sessione di allenamento, una procedura che richiede tempo resa necessaria dal fatto che la mappatura degli impulsi cerebrali cambia di continuo. Come ha spiegato lo stesso Burkhart:

Vorrei davvero poter portare il sistema a casa con me. Non potere camminare non mi importa molto perché si possono già fare molte cose su una sedia a rotelle, ma se potessi usare le mie mani sarei molto più indipendente rispetto a quanto sono adesso. Ma anche se non sarà mai qualcosa che posso portarmi a casa, sono felice di poter prendere parte a questa ricerca. Mi sono divertito un sacco. E so anche di avere fatto qualcosa per aiutare altre persone.