La psicologia dei WC pubblici

L'Atlantic racconta l'ansia nota come "urofobia" e la carenza di studi e sperimentazioni sul miglioramento dei nostri rapporti coi bagni

Per noti motivi, prima o poi è capitato a tutti nella vita di usare almeno una volta un bagno pubblico. Oltre alle preoccupazioni prettamente igieniche, per posti spesso poco puliti e con odori poco raccomandabili, l’esperienza di andare in bagno separati dagli altri solo da sottili porte di compensato o fianco a fianco nel caso degli orinatoi a muro, crea spesso forme di disagio, che per molte persone diventano insostenibili.

Urofobia
Spiega Julie Beck in un lungo articolo sull’Atlantic che ci sono milioni di persone in giro per il mondo che soffrono di “urofobia”, la paura di fare pipì in presenza di altre persone. Nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, la guida per le diagnosi compilata dall’Associazione americana degli psichiatri, l’urofobia è classificata come disturbo d’ansia: chi ne è affetto va in ansia da prestazione perché teme di essere giudicato dagli altri mentre va in bagno. Il problema, con vari livelli di gravità, è molto diffuso.

Non tutti soffrono la fobia dei bagni pubblici allo stesso modo. Alcuni provano semplicemente disagio, altri non riescono proprio a sciogliersi in presenza di altre persone. Gli urofobici più gravi sono costretti a portarsi in giro un catetere, un tubicino da inserire nell’uretra e che deve essere spinto fino alla vescica, nel caso in cui non riescano a usare un bagno pubblico. Per alcuni di questi il problema diventa talmente insormontabile da condizionare totalmente la loro esistenza: non escono con gli amici e rinunciano a buona parte della loro vita sociale, o addirittura non si sposano.

Tecnicamente, e come suggerisce il nome, l’urofobia fa specificamente riferimento alla paura di fare pipì in pubblico. Il disturbo è molto più frequente di quello dell’”intestino timido”, ma per intuibili motivi pratici: salvo casi eccezionali, l’impellenza di fare pipì può essere tenuta molto meno sotto controllo rispetto agli altri bisogni e di solito ci si può organizzare meglio, trovando soluzioni per superare temporaneamente la propria paura.

Disagio e vergogna
Beck spiega che in generale, fobie a parte, praticamente tutti sviluppano sistemi e soluzioni per rimuovere il senso di disagio che provano quando si trovano in un bagno pubblico. Usare l’orinatoio a muro più distante da quello già occupato da un altro, evitare conversazioni anche con le persone che si conoscono in quei momenti e altre strategie derivano da una serie complessa di reazioni psicologiche, che variano a seconda degli individui. Entrano in gioco il proprio personale senso di vergogna e imbarazzo, il modo in cui si tende a dare una rappresentazione di sé agli altri e i ruoli di genere.

Proprio perché causano forme diffuse di disagio, legate anche alle cose che ci si fanno, i bagni pubblici non sono oggetto frequente di discussione. Questa condizione si riflette anche nel contesto accademico, dove fino a oggi sono stati realizzati pochi studi sui meccanismi psicologici che si attivano mentre ci si trova in una toilette pubblica. Secondo Nick Haslam, autore del libro Psychology in the Bathroom, iniziamo ad associare la vergogna e la riservatezza ai bagni pubblici già da bambini: ci viene insegnato a controllare gli stimoli che arrivano dalla vescica e dall’intestino, e veniamo rimproverati se non riusciamo a farlo; impariamo presto che quel tipo di cose si fanno da soli, isolati dagli altri, e che ciò che abbiamo prodotto è disgustoso e repellente.

Soprattutto ai fini sanitari e di igiene è un bene che si impari fino da piccoli ad avere una certa repulsione per i rifiuti che produce il nostro corpo, ma le società moderne si sono spinte oltre creando una sorta di tabù intorno all’argomento. Se ci fosse la possibilità di parlare più liberamente di queste cose, spiega Haslam, si potrebbero allentare diverse ansie che nascono intorno a come risolvere certe urgenze.

Privacy
Il concetto di privacy legato all’utilizzo del bagno è comunque relativamente recente e risale al diciannovesimo secolo, periodo in cui le migliori condizioni economiche e insegnamenti religiosi legati all’umiltà spinsero a portare in una sfera più privata il momento in cui rispondere ai propri bisogni. Ma il cambiamento riguardò solamente i bagni delle case private, quelli pubblici rimasero luoghi progettati per essere occupati simultaneamente da più persone e continuano a esserlo ancora oggi, per supposti motivi pratici.

I bagni pubblici hanno di solito sistemi molto rudimentali per separare gli spazi del loro effettivo impiego: si tratta di solito di piccoli box modulari con porte e sottili pareti di legno o di metallo, più basse del soffitto e sollevate di diversi centimetri da terra. Sono pratici per rendere più rapida e semplice la pulizia degli ambienti, ma non isolano né acusticamente né olfattivamente. E questo spiega diversi comportamenti che tendiamo ad assumere per superare l’effettivo isolamento: più o meno inconsapevolmente ignoriamo o non facciamo notare gli odori e i rumori che sentiamo, perché confidiamo che gli altri facciano altrettanto con noi.

Uomini e donne
Beck scrive che oltre a questi comportamenti in generale, ce ne sono altri che dipendono e cambiamo molto tra bagni pubblici per i maschi e per le femmine. In termini prettamente biologici, non ci sarebbe la necessità di avere bagni separati perché uomini e donne li usano per lo stesso scopo. Certo, gli uomini di solito fanno pipì in piedi, le donne hanno bisogno di cestini se devono sostituire il loro assorbente intimo, ma in linea di massima un bagno pubblico unisex potrebbe rispondere alle esigenze di entrambi i sessi senza problemi (come del resto succede per quelli casalinghi e per molti bagni pubblici monoposto).

Come spiegò il sociologo Erving Goffman in un suo studio del 1977, al netto di alcune innegabili differenze negli organi coinvolti, la divisione tra uomini e donne è “totalmente culturale”. E questa condizione ha portato alla creazione di diversi ambienti separati, di cui i bagni pubblici sono probabilmente l’emblema e che condizionano il modo stesso con cui sono usati questi spazi. Secondo i sociologi, l’isolamento dei due sessi mette più a disagio gli uomini: in un bagno pubblico si sospendono le gerarchie e per i maschi può essere più complicato trovarsi alla pari con tanti altri sconosciuti del proprio genere, mentre le donne di solito tendono a essere più a loro agio. In uno studio condotto nel Regno Unito nel 2012 sugli utilizzatori di 20 diversi bagni pubblici, le donne tendevano a lamentarsi per la scarsa igiene e le caratteristiche degli ambienti, mentre gli uomini segnalavano più ansie legate alla presenza di sconosciuti.

Orinatoi a muro
Queste preoccupazioni aumentano nel caso degli orinatoi a muro. Beck riferisce di uno studio, eticamente alquanto discutibile, condotto nel 1976 dove un ricercatore si nascose in una delle cabine di un bagno pubblico per spiare con un periscopio la zona degli orinatoi a muro senza essere visto. In questo modo scoprì che più due persone sono vicine più impiegano tempo a iniziare a orinare. La vicinanza influisce anche sulla durata della pratica, riducendola. La ricerca concluse che c’è uno spazio personale, seppure più ridotto rispetto ad altri contesti, oltre il quale si ha difficoltà a fare una cosa tutto sommato semplice e che si fa per tutta la vita come fare pipì.

La “disattenzione civile”, locuzione ideata sempre da Goffman, è il modo migliore per descrivere come gli uomini affrontano la delicata questione degli orinatoi a muro e più in generale di come sono trattate le persone nei bagni pubblici. In pratica, l’arrivo di un’altra persona all’orinatoio a fianco del proprio viene notato immediatamente, ma si innesca subito una sorta di meccanismo di rimozione che devia l’attenzione dalla nuova presenza. In pratica le due persone riconoscono la reciproca presenza e inconsciamente si mettono d’accordo sul non darsi attenzione. Più si è vicini, più la “disattenzione civile” diventa qualcosa di diverso, in cui si tende a non trattare il nuovo arrivato come una persona: si fa finta che non esista.

Diversivi
Steve Soifer, amministratore delegato dell’Associazione Internazionale dell’Urofobia, spiega che in anni di studio e di lavoro con chi ha l’ansia di fare pipì in pubblico è venuto a conoscenza di molte strategie adottate dagli urofobici per convivere con la loro paura. Quella più diffusa è entrare in un bagno pubblico e se c’è qualcun altro attendere che se ne vada, prendendo tempo lavandosi a lungo le mani. Un modo per alleviare il problema è affiancare all’urofobico un amico, una persona fidata e con cui è in grande confidenza con cui si possa sentire a proprio agio a condividere lo stesso luogo in cui dovrà fare pipì. Dopo un periodo di formazione, i pazienti di Soifer sono pronti per la prova finale: andare in un luogo affollato e utilizzare il bagno pubblico con l’aiuto del loro “amico di pipì”.

Naturalmente la terapia non funziona con tutti. Nei casi più gravi non c’è verso di fare superare la paura di andare in un bagno pubblico. Secondo Soifer alcuni accorgimenti su come sono fatti i bagni potrebbe aiutare: se le singole cabine fossero più isolate, con pannelli che dal pavimento arrivano fino al soffitto, molte persone si sentirebbero meno in imbarazzo.

In Giappone, dove da tempo sono state adottate diverse soluzioni tecnologiche per migliorare il tempo trascorso in bagno, nei WC pubblici si trovano di frequente dispositivi che riproducono di continuo il rumore dello sciacquone. Questa soluzione permette di mascherare i rumori che si producono mentre si è chiusi in bagno, rimuovendo qualche imbarazzo. Soluzioni di questo tipo hanno però dei costi, così come la riprogettazione degli interi ambienti, e anche per questo motivo sono raramente adottate su larga scala.

Animali
Per le cose che ci si fanno dentro, i bagni pubblici e in misura diversa quelli privati sono diventati un tabù e sono in pochi a occuparsene, soprattutto dal punto di vista progettuale. Sono pochissimi gli studi di architettura che in tempi recenti hanno affrontato il problema di come sono organizzati i WC pubblici e delle soluzioni che potrebbero essere adottate per migliorarli. Sono considerati luoghi laterali, posti in cui più persone fanno la cosa che più ci ricorda la nostra natura animale e una delle circostanze in cui siamo più indifesi in tutta la nostra esistenza. E inconsapevolmente superiamo il momento “laterale” dando una rapida occhiata agli specchi di solito sopra ai lavandini prima di uscire e di tornare a essere qualcosa di più di semplici animali.