La brutta storia di Alitalia

Di quella vecchia, che finì quattro anni fa, e di quella nuova, che è ancora in crisi e che probabilmente sarà venduta ad Air France

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Ieri a mezzanotte è scaduto il lockup sulle azioni Alitalia: cioè il divieto di vendere le azioni per i soci (qui l’elenco) che quattro anni fa comprarono la vecchia Alitalia in fallimento. Da oggi, quindi, scatta una sorta di “liberi tutti” per cui i “capitani coraggiosi” – com’erano chiamati all’epoca – che salvarono Alitalia possono rivendere le loro azioni al miglior offerente, purché il Consiglio di Amministrazione dia il suo assenso (una clausola che scadrà il 28 ottobre).

Il lockup scade poche settimane dopo la diffusione delle notizie sulla nuova crisi dell’azienda. La compagnia, ha scritto Ettore Livini su Repubblica, perde 630 mila euro al giorno, ha debiti per più di 700 milioni e soltanto 300 milioni di euro in cassa. Secondo molti, l’unica possibilità per Alitalia è essere ricomprata dallo Stato, che aveva venduto le sue quote ai “capitani coraggiosi” quattro anni fa.

Oppure il salvatore della compagnia potrebbe essere Air France-KLM, che possiede già il 25% della compagnia. Nonostante lo abbia ufficialmente negato, secondo molti Air France intende rilevare le quote degli attuali soci ansiosi di uscire dall’azienda in crisi. Il che è piuttosto ironico, visto che la cordata dei “capitani coraggiosi” venne messa insieme dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi proprio per evitare che Alitalia venisse comprata da Air France-KLM. Si tratta di una brutta pagina della storia economica del paese, ma particolarmente istruttiva sul funzionamento del capitalismo italiano.

La storia della vecchia Alitalia
Proprio oggi è l’anniversario della morte della vecchia Alitalia – Linee Aeree Italiane, che fece decollare il suo ultimo volo la notte del 12 gennaio 2009. Alle sei di mattina del 13 gennaio 2009 partì da Roma diretto a Palermo il primo volo della nuova Alitalia – Compagnia Aerea SPA, la linea aerea che esiste ancora oggi, la cosiddetta good company che venne creata nel 2008 scorporando dalla vecchia Alitalia le parti finanziariamente “sane”.

La vecchia Alitalia era stata fondata nel 1947. Nel 1957 venne fusa con un’altra compagnia, Linee Aeree Italiane, e divenne la prima compagnia aerea del paese. Entrambe le società erano di proprietà dell’IRI, la grande società di proprietà statale che controllava gran parte delle partecipazioni strategiche dello Stato. Alitalia rimase fino agli anni ’90 controllata al 100% dallo stato (prima dall’IRI e poi dal Ministero del Tesoro).

I conti della compagnia, mai particolarmente buoni se messi in confronto con la concorrenza, cominciarono a peggiorare seriamente nel corso degli anni ’90. Nel 1996 avvenne la prima privatizzazione, sotto il governo Prodi, ma il Tesoro mantenne una partecipazione di maggioranza nella compagnia. Nel 2001, in seguito agli attentati di New York, tutto il settore delle linee aeree subì una grossa crisi. A differenza di altre compagnie aeree, Alitalia non riuscì a risollevarsi dalle perdite subite nel corso degli anni successivi. Dopo che il governo francese annunciò la privatizzazione di Air France e la sua fusione con KLM, Alitalia restò l’unica compagnia europea a controllo statale.

Nel 2006 l’azienda era ormai vicina al fallimento e per salvarla il governo Prodi decise di vendere una parte delle quote che erano ancora in mano al Tesoro, cedendo così il controllo della compagnia. La gara per acquistare il 39% delle azioni offerte dal governo andò deserta. Secondo molti, la causa principale furono i molti paletti che erano stati messi alla trattativa. In sostanza, il governo voleva vendere Alitalia come se fosse un’azienda sana e non vicina al fallimento (all’epoca il ministro che si occupava della gara era Pierluigi Bersani).

Fallito il primo tentativo, nell’autunno del 2007, il governo Prodi cercò di vendere Alitalia tramite una trattativa diretta. Il compratore scelto dopo le prime consultazioni fu Air France-KLM, che dal 21 dicembre 2007 divenne l’interlocutore unico di Alitalia. L’offerta finale concordata tra le due parti nelle settimane successive consisteva, in sostanza, nel pagamento da parte di Air France di 1,7 miliardi di euro, nell’accordo con i sindacati per l’esubero di 2.100 lavoratori e nella riduzione della flotta a 149 aerei. Tra le altre clausole c’era anche la conservazione di tutte le rotte che Alitalia deteneva all’epoca.

A marzo 2008 il governo accettò le condizioni della trattativa, ma le cose cominciarono subito ad andare male. Prima i sindacati si sfilarono dalla trattativa, uno dopo l’altro. Poi, circa un mese dopo, Air France-KLM ritirò la sua offerta. Nel frattempo infatti, Silvio Berlusconi, all’epoca leader dell’opposizione, aveva dichiarato di essere contrario alle trattativa perché era necessario «preservare l’italianità della compagnia». Questa dichiarazione rendeva impossibile ad Air France proseguire con l’acquisto per almeno due motivi.

Il primo risaliva al 24 gennaio, quando, in seguito a un voto al Senato, il governo Prodi perse la maggioranza in Parlamento. Le consultazioni per creare un nuovo governo fallirono e si decise di andare al voto quella stessa primavera. Tutti i sondaggi davano Berlusconi vincitore con una larga maggioranza.

Il secondo motivo era dovuto al fatto che il tipo di business praticato dalle compagnie aeree dipende fortemente dal governo dei paesi in cui operano, che stabilisce regolamenti e regola buona parte del settore. Air France-KLM comprese che il governo italiano che sarebbe succeduto a Prodi sarebbe stato ostile e quindi decise di rinunciare all’acquisto. Il presidente di Air France-KLM riassunse così la scelta della compagnia: «In questo settore nessuna operazione di questo tipo si può fare in modo ostile e contro un governo». Intendendo, ovviamente, il governo futuro.

Come previsto, Berlusconi vinse le elezioni e il suo governò entrò in carica l’8 maggio 2008. Durante l’estate venne messa in piedi la cosiddetta CAI, Compagnia Aerea Italiana, una società presieduta dall’imprenditore Roberto Colaninno e composta, tra gli altri, dal gruppo Benetton, dal gruppo Riva (la famiglia proprietaria dell’ILVA), dal gruppo Ligresti, da quello Marcegaglia, dalla famiglia Caltagirone attraverso la società Acqua Marcia, dal gruppo Gavio e da Marco Tronchetti Provera. Un altro partner importante fu Intesa Sanpaolo, il cui amministratore delegato era all’epoca l’attuale ministro dello Sviluppo Economico e dei Trasporti, Corrado Passera. Lo scopo della CAI era rilevare il marchio Alitalia e la parte “sana” e migliore della compagnia.

Tutta l’operazione fu pesantemente criticata all’epoca. Tra le molte accuse, ricordiamo solo che la vendita era meno conveniente per lo Stato e per i contribuenti rispetto all’accordo con Air France-KLM di pochi mesi prima. Nonostante questo, in molti si chiesero se il governo non avesse offerto delle compensazioni agli imprenditori che parteciparono all’operazione. Parecchi di loro infatti, come Marco Tronchetti Provera e la famiglia Benetton, erano – e sono tuttora – concessionari dello Stato, l’uno per le frequenze telefoniche, gli altri per le autostrade (in altre parole i loro guadagni dipendono strettamente dalla regolamentazione sulle concessioni che stabilisce il governo).

Emma Marcegaglia venne fortemente criticata per la partecipazione del suo gruppo familiare all’operazione visto che da un lato faceva affari con il governo e dall’altro, in quanto presidente di Confindustria, con lo stesso governo doveva spesso trattare. Di conflitto di interesse venne anche accusata la famiglia Colaninno, in cui il padre, Roberto, partecipava alla CAI promossa dal governo Berlusconi, mentre il figlio Matteo svolgeva l’incarico di “ministro ombra” del Partito Democratico.

Ma le critiche non impedirono la formazione della cordate e le trattative per l’acquisto, che procedettero con l’appoggio esplicito del governo Berlusconi per tutta l’estate. Alla fine la CAI rilevò da Alitalia il marchio e parte delle attività (la cosiddetta good company, che conteneva le parti “sane” di Alitalia, mentre la bad company con i debiti e il resto venne lasciata nelle mani dello Stato) per circa 1 miliardo mentre vennero compiuti 7.000 esuberi – a cui vennero garantiti 7 anni di cassa integrazione pagata dallo stato. Un mese dopo il raggiungimento dell’accordo per l’acquisto, il 12 gennaio 2009, la vecchia Alitalia – LAI compì il suo ultimo volo.

Riassumendo: CAI comprò Alitalia offrendo 700 milioni in meno rispetto ad Air France-KLM – e anche meno, visto che alla fine i “capitani coraggiosi” sborsarono effettivamente solo 300 milioni. L’operazione è costata allo Stato l’esubero, cioè il riassorbimento in un altro incarico, di 7.000 lavoratori invece che di poco più di 2.000, a cui tra l’altro è stata garantita una cassa integrazione molto lunga. A questo andrebbe aggiunto il costo della bad company, sempre a carico dello Stato, che secondo alcuni potrebbe essere addirittura di 2 miliardi di euro.