La fine dell’era antibiotica

In Europa esplode la percentuale di infezioni che i farmaci non riescono più a trattare: e l'Italia è in cima alla lista

di Massimo Sandal

È agosto 2010 quando Paolo, 55 anni, professore universitario a Roma in vacanza a Ponza, si ammala. Febbre e brividi. Il cognato medico diagnostica una banale infezione delle vie urinarie e gli prescrive un antibiotico comune, la ciprofloxacina.
Paolo non migliora, passando la settimana a prendere antibiotici che non gli fanno nulla. Torna da Ponza, si sottopone a esami, scoprono che è stato infettato con un ceppo di E.coli resistente agli antibiotici -inclusa la ciprofloxacina.
Gli viene prescritto un altro antibiotico – stavolta per quattro settimane. Sembra migliorare, ma appena interrompe il trattamento, l’infezione ritorna. Paolo chiama un amico, un esperto di malattie infettive, che suggerisce un terzo antibiotico. Altre tre settimane. È la volta buona: dopo due mesi e tre cicli di antibiotici, l’infezione scompare.

La storia di Paolo (riportata dall’Independent) non è un’eccezione, ma un esempio dei tanti di un’emergenza da prendere sul serio. Paolo, perlomeno, è stato fortunato e alla fine è stato curato: a moltissimi altri non è andata così bene. Giovedì 17 novembre la Commissione europea ha pubblicato un piano d’azione quinquennale per contrastare l’emergenza delle infezioni resistenti agli antibiotici -gli unici farmaci che ci permettono di sopravvivere a malattie che fino a un secolo fa massacravano interi continenti. Il documento riporta che

“ogni anno sono circa 25.000 i decessi causati da infezioni provocate da batteri resistenti ai farmaci […] la resistenza agli agenti patogeni che sono spesso all’origine di polmoniti e di infezioni delle vie urinarie in ambiente ospedaliero si va accentuando in tutta l’UE ed è ormai una realtà accertata in diversi paesi.”

Sono molto seri i dati relativi ad alcuni singoli ceppi batterici. In Italia e in Grecia dal 15 al 50% delle infezioni da Klebsellia pneumoniae – una delle principali cause della polmonite – è resistente al carbapenem, l’antibiotico “ultima spiaggia”, e quindi praticamente incurabile. Nel Regno Unito la UK Health Protection Agency sta monitorando l’insorgere di infezioni da gonorrea antibiotico-resistenti, e ha dichiarato che “il rischio di gonorree incurabili nel futuro è estremamente reale”. Il direttore del Centro Europeo per la Prevenzione e Controllo delle Malattie (ECDC), Marc Sprenger, ha dichiarato: “La situazione è critica. Dobbiamo dichiarare guerra a questi batteri”.

La principale causa di questa emergenza sta nell’abuso di antibiotici, sia nell’industria zootecnica (il 70% degli antibiotici viene consumato dagli allevamenti animali) dove gli antibiotici sono necessari per mantenere sani gli animali in condizioni di allevamento intensive, sia nelle indiscriminate prescrizioni mediche.
Ora, le resistenze agli antibiotici non sono una novità moderna: un recente studio su Nature ha dimostrato che già 30.000 anni fa esistevano ceppi resistenti. Ma erano solo alcuni tra i tanti. Oggi l’abuso di antibiotici elimina tutti i ceppi batterici tranne quelli resistenti, che quindi prendono il sopravvento. L’ECDC riporta che più del 50% delle prescrizioni di antibiotici negli ospedali sono superflue o inappropriate, e i paesi europei dove si concentra questa pratica sono gli stessi dove maggiore è l’incidenza di batteri resistenti: Grecia, Cipro, Italia, Ungheria e Bulgaria. Negli Stati Uniti, l’incidenza di ricoveri ospedalieri dovuti a infezioni antibiotico-resistenti è aumentata del 359% in 10 anni: da 37.005 casi nel 1997 a 169.985 nel 2006.

La rivista scientifica Nature Reviews Microbiology riporta in questi giorni ulteriori dati preoccupanti , in un articolo firmato da 28 ricercatori europei e americani. Nel 2007 il numero di infezioni da batteri antibiotico-resistenti in Europa ha superato i 400.000 casi, totalizzando 2.5 milioni di giorni di ricovero collettivi. Un gene batterico per le resistenze agli antibiotici, bla-NDM-1, si va diffondendo dall’India al mondo occidentale e ha già aumentato la mortalità dei ricoveri ospedalieri.

Quali sono le possibili linee d’azione? La più ovvia sarebbe lo sviluppo di nuovi antibiotici, ma notoriamente il mercato degli antibiotici non è considerato economicamente soddisfacente dalle case farmaceutiche. Si tratta infatti di farmaci che vengono prescritti saltuariamente e per breve tempo, e quindi hanno un ritorno economico minore rispetto a farmaci per malattie croniche, che invece vengono assunti regolarmente per lunghi periodi. L’ISDA (Società americana per le malattie infettive) ha posto come obiettivo la sintesi di almeno dieci nuovi antibiotici entro il 2020, ma l’industria farmaceutica sembra non collaborare. Gli autori dell’articolo su Nature Reviews Microbiology caldeggiano azioni governative, tramite incentivi e partnership tra ricerca pubblica e privata, per superare quella che chiamano “market failure”, un vero e proprio fallimento dell’economia di mercato nel campo dei farmaci. In tal senso, in Gran Bretagna è stata lanciata l’iniziativa Antibiotic Action , per incentivare la collaborazione tra sanità, accademia e industrie. Gli autori notano che esistono numerose sorgenti naturali di molecole potenzialmente attive non ancora esplorate, per esempio i microrganismi marini.  Rispolverare vecchie molecole antibiotiche – magari scartate inizialmente ma che possono essere nuovamente utili alla luce di tecnologie più moderne, cambiando dosaggi, somministrazione o indicazioni – è un’altra delle strategie proposte per tamponare l’emergenza.

Ma secondo i ricercatori servono anche programmi di educazione pubblica, come per esempio il programma e-Bug per educare bambini e genitori a conoscere i batteri e all’utilizzo responsabile di antibiotici.  E si deve pensare a terapie alternative (pur sempre scientificamente comprovate), che riducano la nostra dipendenza dai farmaci: più vaccini innanzitutto, ma anche ad esempio terapie probiotiche mirate, ovvero cocktail di batteri “buoni” che vivono nel nostro corpo senza recare danni e che possono competere con quelli patogeni.

Combattere i patogeni antibiotico-resistenti non è impossibile: le infezioni ospedaliere da stafilococchi meticillina-resistenti (MRSA) in alcuni paesi europei stanno lentamente diminuendo, grazie a programmi mirati di contenimento. Ma in generale la situazione sta precipitando rapidamente, e c’è un serio disinteresse generale. Il premio Nobel Joshua Lederberg, uno dei pioneri della genetica dei batteri, che scoprì che i batteri possono scambiarsi geni (inclusi quelli che li rendono resistenti ai farmaci), dichiarò nel 1990 che

“il dominio dell’uomo sulla Terra, a meno del suicidio della nostra specie, è oggi seriamente sfidato solo dai batteri patogeni, per i quali noi siamo la preda, e loro sono i predatori. Non c’è alcuna garanzia che in questa gara evolutiva saremo noi a uscire vincitori”.

foto: Joe Raedle/Getty Images