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  • Lunedì 11 luglio 2011

L’Europa e le emissioni

Come si è arrivati alla bocciatura al parlamento europeo dell'aumento dei tagli sul gas serra

di Fabio Venneri

A Greenpeace activist holds a banner, reading: "EU Go to 30 Percent Now!" next to a platform representing ice on the Danube river in the center of Budapest on June 29, 2011. Greenpeace was demonstrating for a 30 percent reduction of the greenhouse gas emissions as Hungary ends its six months rotating EU presidency on June 30. AFP PHOTO / ATTILA KISBENEDEK (Photo credit should read ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)
A Greenpeace activist holds a banner, reading: "EU Go to 30 Percent Now!" next to a platform representing ice on the Danube river in the center of Budapest on June 29, 2011. Greenpeace was demonstrating for a 30 percent reduction of the greenhouse gas emissions as Hungary ends its six months rotating EU presidency on June 30. AFP PHOTO / ATTILA KISBENEDEK (Photo credit should read ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)

Martedì scorso, dopo un rinvio della votazione prevista inizialmente per il 23 Giugno, il Parlamento Europeo in seduta plenaria si è espresso negativamente sulla proposta di innalzamento dell’obiettivo prefissato del taglio delle emissioni di gas serra per il 2020, che si intendeva portare dal 20 al 30%, rispetto ai livelli del 1990, entro la fine del decennio. “Favorirebbe la crescita economica e creerebbe nuovi posti di lavoro” aveva affermato alla vigilia del voto il deputato Verde dei Paesi Bassi Bas Eikhout, relatore del rapporto in Commissione Ambiente “e poi minor spesa per l’importazione di energia e miglioramento della salute”.
Tra coloro che spingevano per l’ulteriore riduzione, oltre a Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito (nonostante la rivolta interna di molti tories per le politiche ambientaliste del “greenest government ever” di David Cameron) anche grandi multinazionali: Coca Cola, Sony, Nike, Google, IKEA, Barilla, Electrolux, Vodafone e altre 64 aziende di primo piano.

Tra gli oppositori, la Polonia, (la cui contrarietà sembra aver giocato un ruolo importante) che dal 1° Luglio ha assunto la presidenza semestrale dell’UE e che dipende per quasi la totalità del suo fabbisogno energetico dal carbone (oltre 90%). Janusz Lewandowski, Commissario polacco al Bilancio dell’UE, in un’intervista ad un giornale del suo paese aveva espresso le proprie perplessità riguardo le responsabilità del carbone come principale causa dell’effetto serra abbracciando posizioni negazioniste sul riscaldamento globale.
Nonostante ciò la Polonia sta cercando di rispettare gli impegni presi in sede europea diversificando le fonti di produzione dell’energia attraverso il rilancio del programma nucleare (abbandonato dopo Chernobyl e la caduta del muro di Berlino), che diverrà operativo praticamente in concomitanza con la chiusura degli impianti tedeschi, e che non sta incontrando particolari resistenze nell’opinione pubblica polacca.

Ma che l’obiettivo del 30% fosse troppo ambizioso lo pensava anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che a maggio con una lettera aveva invitato i parlamentari italiani a Bruxelles a non votare a favore dell’aumento dei tagli alle emissioni di gas serra. Chi si opponeva affermava che questo avrebbe comportato maggiori costi e avrebbe fatto fuggire le industrie verso quei paesi in cui non esiste una legislazione stringente in tema d’ambiente. D’altronde, ha dichiarato recentemente Günther Oettinger, Commissario tedesco all’ Energia della UE, “penso che abbiamo bisogno dell’industria in Europa, e industria significa emissione di CO2”.
In realtà, faceva notare Manuel Barroso, Presidente della Commissione Europea, una cosa non esclude l’altra, visto che dal 1990 l’UE ha ridotto le emissioni di gas serra di più del 10% mentre l’economia è cresciuta del 40%. “Questo dimostra come sia possibile ottenere entrambe le cose contemporaneamente, crescita e riduzione delle emissioni”.

Il taglio del 20% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 è una delle misure contenute nel pacchetto clima-energia noto anche come 20/20/20, approvato nel Dicembre 2008 dal Parlamento Europeo e implementato con la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla “promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”. Obiettivi del pacchetto sono la trasformazione dell’Europa in un’economia a bassa emissione di carbonio e l’aumento della sicurezza energetica. Salutato come soluzione sia all’emergenza climatica che alla crisi economica e finanziaria dal presidente Barroso, che ha parlato in proposito di “green new deal”, con l’adozione del pacchetto clima-energia l’UE è stata “la prima grande economia mondiale ad adottare un programma operativo, preciso e vincolante che concretizza l’impegno di riduzione delle emissioni di gas serra”.
Il pacchetto 20/20/20 prevede per il 2020 il taglio del 20% delle emissioni di gas serra, il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica e la generazione del 20% del mix energetico da fonti rinnovabili. L’obiettivo complessivo comunitario viene poi tradotto “in obiettivi individuali per ogni Stato membro, procedendo ad un’allocazione giusta e adeguata che tenga conto della diversa situazione di partenza e delle possibilità degli Stati membri, ivi compreso il livello attuale dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico”. Per l’Italia si tratta di passare dal 5,2% del 2005 al 17% nel 2020 come quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia, per la Polonia dal 7,2 al 15, mentre tra i paesi più virtuosi da questo punto di vista la Danimarca dovrebbe raggiungere il 30% (partendo dal 17%) e la Lettonia il 40% (partendo dal 32,6%). Il conseguimento dell’obiettivo passa dunque sia dall’aumento della quota parte di energia da fonti rinnovabili, sia dalla riduzione del consumo, quindi risparmio ed efficienza energetica.

La legge finanziaria 2007 prevedeva, tra le misure volte al conseguimento degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto (riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 del 6,5%), agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici, contributi per frigoriferi ad alta efficienza, e, nel settore dei trasporti, incentivi all’impiego di auteveicoli a GPL e metano (con la riduzione dell’accisa sul GPL). La legge finanziaria 2008 ha prorogato fino al 31 dicembre 2010 le detrazioni introdotte dalla Finanziaria 2007 per la riqualificazione energetica degli edifici e, attraverso un processo concordato con le Regioni, ha ripartito l’obiettivo complessivo del Paese in sotto-obiettivi regionali, la somma dei quali dovrebbe portare a far fronte agli impegni presi in sede europea.
La Regione non costruisce impianti di produzione dell’energia né può imporre cambiamenti dello stile di vita di privati e imprese. Può, però, indirizzare verso comportamenti virtuosi e anche finanziare interventi che vadano nella direzione della maggiore efficienza e della riduzione dei consumi. Le Regioni si sono quindi attivate, attraverso la predisposizione di piani energetici regionali e lo stanziamento di cifre anche importanti, promuovendo il risparmio energetico in tutti i settori, agevolando l’accesso al credito delle imprese per gli interventi di miglioramento energetico, e poi preoccupandosi di garantire lo sviluppo degli impianti a fonti rinnovabili. Hanno inoltre adottato misure volte a ridurre le emissioni nel trasporto pubblico locale incentivando il trasporto pubblico collettivo e contribuendo alla diffusione di mezzi ad elevata efficienza.

Il pacchetto clima-energia contemplava già dalla sua approvazione la possibilità di ridiscutere al rialzo i termini dell’accordo qualora le condizioni fossero state favorevoli. L’innalzamento dei tagli per il 2020 avrebbe dovuto rendere più facilmente raggiungibili i traguardi a lungo termine quali quelli dichiarati nella Roadmap 2050 di ridurre dell’80% rispetto al 1990 le emissioni di gas serra da qui a quarant’anni, passando per un taglio di almeno il 25% al 2020, del 40% al 2030 e del 60% al 2040.
Connie Hedegaard, danese, Commissario Europeo per l’Azione per il Clima, riportava che questo avrebbe richiesto investimenti ulteriori per 270 miliardi di euro (1.5% del PIL europeo) all’anno a fronte di un investimento attuale del 19% del PIL, in un periodo in cui la crisi nell’Eurozona sta peggiorando.Tuttavia i benefici derivanti dal risparmio dei costi del carburante erano stati stimati fino a 320 miliardi all’anno sul lungo periodo e i benefici nel miglioramento della qualità dell’aria fino a 88 miliardi all’anno.
Nonostante il voto di martedì scorso, quando non è andato a buon termine neanche il tentativo di trovare un compromesso su un obiettivo del 25%, i lavori della Commissione Europea sulla Roadmap 2050 vanno avanti. Per la fine dell’anno è prevista la pubblicazione di un’analisi delle possibili modalità di produzione energetica da oggi al 2050, tenendo conto dell’attuale scarto di competitività tra impianti di piccola e grande dimensione che producono energia da fonti rinnovabili. “Ciò permetterà di stabilire azioni prioritarie per la realizzazione di un settore energetico sostenibile entro il 2050”.

(ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)