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Michele Serra
Martedì 4 febbraio 2025

Con parole mie

«Volevo scrivere di quella signora di Napoli, di professione tiktoker, che avendo raccontato di essere stata a Roccaraso, cittadina della montagna abruzzese, e di essersi divertita assai, ne aveva provocato l’invasione domenicale da parte delle sue legioni di followers»

Roccaraso, l'8 gennaio 2024
(ANSA/GABRIELE DE RENZIS)
Roccaraso, l'8 gennaio 2024 (ANSA/GABRIELE DE RENZIS)

In settimana ho dovuto affrontare una piccola, ma non così piccola, questione etica, che riguarda il mio mestiere (scrivere, fare uso pubblico delle parole) ma coinvolge la vita sociale e politica nel suo complesso.
Volevo scrivere di quella signora di Napoli, di professione tiktoker, che avendo raccontato di essere stata a Roccaraso, cittadina della montagna abruzzese, e di essersi divertita assai, ne aveva provocato l’invasione domenicale da parte delle sue legioni di followers. Centinaia di pullman, migliaia di persone, fondovalle bloccato per ore e, la mattina dopo, rifiuti a perdita d’occhio, come documentato, sempre sui social, dal desolato sindaco. Se avete visto – ed è quasi impossibile non vederla, perché non c’è testata on line che non le faccia da ripetitore – quella signora in azione, ne avrete colto i connotati fisici non discreti, diciamo così, e il lessico piuttosto ridotto ma, in compenso, molto rumoroso. Meno usato del termine understatement, esiste però anche il suo contrario: overstatement. Potremmo renderlo, in italiano, con “atteggiamento costantemente esagerato, sopra le righe”. Ecco, di questo stiamo parlando.

Ora, nel momento in cui si voglia scrivere di quella signora, limitarsi a dirne il nome e il cognome è un poco tradire il racconto. Tradire il mio mestiere. Non descriverne l’aspetto, l’abbigliamento, l’atteggiamento, l’eloquio, significa privare il lettore non di trascurabili dettagli, ma di un pezzo decisivo di quello che stai raccontando. L’aspetto fisico e il modo di fare dei personaggi, per chiunque scriva una storia, non possono essere nascosti ai lettori senza privarli dell’umano nelle sue infinite e appassionanti versioni.
Solo che – ecco il problema etico – gran parte delle cose che mi veniva voglia di scrivere, a proposito della signora, rischiava di sembrare sprezzante, o irridente: non per mia intenzione, ma perché non puoi descrivere qualcosa di greve, o di sbracato, senza farlo risultare greve o sbracato. Puoi farlo con ironia, perfino con empatia, ma pur sempre di questo si tratta, in sintesi: descrivere il brutto. La tentazione è di sorvolare, se si cerca di essere eleganti. E il fatto che ai non eleganti, di questi scrupoli, non ne venga mai in mente mezzo, e dunque insultino con invidiabile spensieratezza chiunque gli vada di insultare, non sposta poi di molto la questione. Che assomiglia molto, eh già, alla questione del politicamente corretto, il cui difetto fondamentale è che sovraccarica di responsabilità e di esitazioni chi cerca di praticare il rispetto anche verbale, ma non tange minimamente la controparte, che anzi rincara la dose. (Per rendere chiaro cosa intendo per “controparte”, diciamo i talk show di Rete 4 quasi al completo, nei quali il repertorio monotono ma efficace delle parole aggressive e rozze, sbocco di sentimenti aggressivi e rozzi, è usato come sistematica rivincita dei maleducati che si rivoltano contro l’educazione. Passandosela da coraggiosa minoranza ribelle anche se sono, e da sempre, maggioranza rumorosa: è l’alibi dei prepotenti, fingersi vittime. Superior stabat lupus).

Ora, detto che si deve tenere il punto sul piano del rispetto e della buona educazione verbale, soprattutto per rimarcare la differenza con chi non ci ha mai fatto caso, al rispetto; rimane il problema, enorme, della descrizione del mondo, che non può essere sterilizzata, ammosciata, ingrigita. Il linguaggio inespressivo non è il rimedio al linguaggio sbracato, le maniere azzimate sono sempre soccombenti rispetto al corpo sciolto, all’impeto della vita. Ti ritrovi dunque sospeso tra i tanti colori della tavolozza e il timore di usarli per marchiare persone che, anche se fanno di tutto per dimostrare il contrario, sono pur sempre tuoi simili.
Per giunta: descrivere il brutto e il volgare, ben lungi dal volere colpevolizzare chi ne è vittima, non rientrerebbe forse nei doveri di chi, più fortunato, se ne può tenere a distanza? O si deve fare finta che la società di massa non sia brulicante di bruttezza e volgarità, tanto poi noi altri leggiamo buoni libri e guardiamo buoni film e non andiamo in pullman a Roccaraso ma alla spicciolata in luoghi più protetti, e chi se ne frega della moltitudine dei soccombenti? Non è dovere dell’intellettuale (detta pomposamente) raccontare il mondo? E come lo puoi raccontare bene, se ti costringi sempre all’eufemismo?

Come l’ho risolta? Non so dirvi se bene o male, non so nemmeno se la soluzione, formalmente corretta, non sia alla fine ancora più feroce nella sostanza. Non so se l’ironia sia più o meno affilata dell’insulto, se fare lo spiritoso con chi non possiede gli strumenti per decifrare la tua battuta non sia una manifestazione di malcelato classismo; ma non so nemmeno se trattenersi troppo non sia, alla fine, controproducente, perché l’altra guancia già la porgemmo tanto tempo fa e ormai non ne disponiamo più, di un’altra guancia.
In ogni modo, nella mia Amaca, su Repubblica di venerdì scorso, l’ho risolta così: “Quanto alla influencer che indirizza le masse lungo i tornanti abruzzesi, al suo confronto Wanna Marchi sembra Virginia Woolf”. Mi solleva sapere che lei non ha la minima idea di chi sia Virginia Woolf, e non leggendomi, e non leggendo libri e giornali, è dispensata dalla curiosità di chiederselo. Il problema, alla fine, rimane dunque solamente mio.

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Sulla rabdomanzia o meglio radioestesia (vedi lo scorso Ok Boomer!) è andata meglio di quanto temessi. Parecchi lettori mi segnalano una rigorosa verifica effettuata dal Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), benemerito fortino della Ragione in tempi di credulità diffusa. La verifica non ha registrato niente di significativo a favore dell’idea che si possa percepire acqua nel sottosuolo grazie al movimento di bacchette di legno o di metallo. Ma nessuno, anche nel fronte dell’ortodossia scientista, se la sente di darmi definitivamente del gonzo. E anzi non poche e non pochi includono l’ignoto nel novero delle possibili conquiste future della scienza. Nel paranormale e nella magia, non ci crede nessuno: l’illusionista, si sa, è un uomo di spettacolo, non un mago. Ma nell’estensione delle cognizioni scientifiche a territori ancora inesplorati, crediamo in molti.
Segue una breve rassegna delle vostre opinioni, aperta dalla mail di un signore che si spaccia per Claudio Bisio, o forse è proprio lui (vedremo cosa ne dice il Cicap, dopo attenta verifica).

“Caro Michele e caro Peraltro Direttore editoriale, stimando entrambi mi spiace dar ragione a uno e torto all’altro. Ma per una volta, data la mia esperienza personale, mi tocca farlo. Ho un ‘buen retiro’ in Toscana, nel Chianti, un fienile ristrutturato, neanche un ettaro di terreno, ma tanto mi basta. Il problema, anche lì, è l’acqua. D’estate manca proprio, se non piove. E allora ho deciso, su consiglio di contadini locali, di provare a scavare un pozzo perché pare che a una certa profondità (si parla di ottanta metri come minimo) l’acqua ci sia. Ma come sapere esattamente dove si trova la falda? Facile, con un rabdomante!, mi rispondono quasi all’unisono contadini (ma anche giardinieri e architetti) del posto”.
“Arriva quindi un signore gentile, il rabdomante, che impugnando con due mani un rametto di salice comincia ad aggirarsi per il campo. E all’improvviso, che ci crediate o no, il rametto ha cominciato a girare! Gli ho consegnato volentieri il giusto guiderdone, spero con fattura (ma temo di no), e ho iniziato a scavare. Questo è accaduto una decina di anni fa. Ancora oggi da quel pozzo esce una gran quantità d’acqua che, fatta esaminare, è risultata quasi potabile, ma perfetta per irrigare piante e giardino. Caro Luca, questa è storia, anzi mera cronaca, comunque non leggenda né fantasia. Non conosco la legge fisica che ha fatto girare quel legnetto, ma presto, come scrive Michele, qualcuno scoprirà anche quella formula. D’altronde anche la forza di gravità esisteva ben prima che una mela cascasse sulla fronte di Newton!”
Claudio (Bisio)

“Da geologo novecentesco non posso esimermi da intervenire nel caso della rabdomanzia. Tutti quelli che ricercano l’acqua con metodi più o meno prescientifici hanno un grande vantaggio: l’acqua, nel sottosuolo si trova ovunque, non esistono le vene, ma le falde. Ovvero strati permeabili in cui le parti vuote sono piene di acqua”.
Gianni

“Il caso descritto è di aiuto per chiarirmi a me stessa. Ovvero al mio essere razionalista ma anche ‘possibilista’: mi appassiona molto la filosofia della scienza ma anche (forse per gli stessi motivi!) la ricerca spirituale, le neuroscienze ma anche le pratiche meditative e le near-death experience, ed è sicuramente per questi motivi che per la tesi ho scelto il pensiero epistemologico di Francisco Varela, uno scienziato meraviglioso che ha intrecciato scienze cognitive, fenomenologia e psicologia buddhista. Il buffo è che capita ancora che questi mondi si guardino in cagnesco, mentre sarebbe bellissimo se collaborassero gioiosamente senza barare. La mia impressione è che continuiamo a pensare alla scienza secondo un modello rigido superato da tempo e dal quale ci viene molto difficile staccarci. È solo questione di tempo, interessi e fondi adeguati… dopo di che le tue bacchette conquisteranno la dignità che oggi il Peraltro gli nega…”
Irene

“Nella più profonda laicità, non posso fare a meno di riflettere sul fatto che la scienza è la somma di quella passata ma anche quella a venire. L’esperienza rabdomantica di Michele Serra non differisce molto dal mio zappare la vigna di un amico in prossimità di un pozzo indicato al suocero da un rabdomante, seppure con una bacchetta lignea. Così, qualora comparisse ‘un serissimo studio scientifico sulla radioestesia’ non sarei stupito e vorrei saperne. Al momento non capisco, però mi adeguo”.
Ludovico Greco

“Ho lavorato per decenni all’azienda che distribuiva gas e acqua a Bologna.
Quando sono entrato negli anni Ottanta i vecchi operai, se non trovavano la condotta d’acqua (e capitava spesso perché si andava molto a memoria d’uomo e la cartografia non era sempre precisa, anzi a volte non c’era) prendevano due elettrodi da saldatura, uno lo piegavano e lo sovrapponevano a cavallo dell’altro. Camminavano tenendo in avanti questo ‘strumento’ e quando si muoveva l’elettrodo di sopra voleva dire che la condotta era lì vicino. Non l’ho mai sperimentato di persona ma l’ho sentito raccontare tante volte come una cosa normale…”
Ivano Mengoli

“Voglio spezzare una lancia, o meglio un rametto, a sostegno della maga Nocciola che alberga in me e in lei, e condivide con Pippo lo spazio nella mia mente che ospita sia il razionale che l’irrazionale. Premetto che ho fatto studi scientifici e che ho destinato TUTTA la mia – poca e residuale – parte irrazionale a credere che Dio esista. Dunque non me ne resta affatto. Però – come lei – ho fatto l’esperienza di sentire muovere nelle mie mani in modo inequivocabile un ramo a forma di ypsilon, guidata da un rabdomante. Alla scienza spiegare perché, ed eventuali legami con fonti d’acqua. A noi la certezza e il privilegio di aver fatto un’esperienza tanto tangibile quanto inspiegabile”.
Roberta

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Un po’ di Zanzare fanno sempre bene (memento per i nuovi lettori: ho chiamato “Zanzare mostruose” questa rassegna ormai biennale di titoli sbagliati, o sguaiati, o riusciti male, o sfregiati da refusi, in omaggio a uno dei titoli più esilaranti della storia del giornalismo mondiale. Anni Settanta, prima pagina della Notte, quotidiano milanese della sera noto per il linguaggio pulp, titolo cubitale: “Zanzare mostruose assediano Milano”. Sarà quasi impossibile eguagliare quel capolavoro).

Una consecutio maldestra può far pensare che gli ostaggi israeliani fossero dediti al cannibalismo. Da Repubblica on line, segnala Franca:

LE QUATTRO SOLDATE LIBERATE
CUCINAVANO I CARCERIERI E I FIGLI

Non è dimostrato che il battere d’ali di una farfalla provochi una tempesta all’altro capo del mondo. Ma questo titolo fa riflettere sulla connessione catastrofica tra accadimenti anche distanti. Lo segnala Marina dal sito dell’Ansa:

BOMBA D’ACQUA A FIRENZE
CROLLA UN MURO A GENOVA

Un genere classico e amatissimo dai lettori, il refuso, mette in luce la reticenza delle autorità: perché non vogliono dirci che cosa è successo davvero al Brennero? Andrea manda lo screenshot di un sito imprecisato di news sul traffico:

NEVICA IN TRENTINO, COSE AL BRENNERO
E DISAGI SULLE STRADE

Il secondo refuso, dal sito dell’Ansa, segnalato da Maurizio, preannuncia uno scandalo sportivo di inaudita gravità:

INTER E MILAN VINCONO
E VENDONO GLI OTTAVI DI CHAMPIONS LEAGUE

Febbraio mi è sempre piaciuto, è ancora un mese del tutto invernale (la neve di febbraio è la più neve di tutte) ma le giornate si allungano con passo sicuro. Avessimo il naso di un cane potremmo fiutare nell’aria la primavera incombente. Le cince e i pettirossi, nel porticato davanti alla cucina, si ingozzano di semi e di burro – provate a lasciare un panetto di burro su un ramo, lo troverete presto crivellato dagli uccellini che si difendono dal gelo facendo il pieno di grassi.
Qui nel selvaggio Nordovest il tempo è piovigginoso, i campi fradici, gli stivali obbligatori, ma a sera la luce declina di malavoglia, e il buio sa bene che il suo regno sta terminando. L’altra notte, rincasando, ho visto un istrice così grosso che da lontano l’ho scambiato per un cinghiale. Ho letto sul Post cose notevoli sulla reintroduzione – difficile, rarefatta – della lince. Prima di morire vorrei tanto vederne una, al tramonto, che mi guarda sospettosa e subito si infratta nel bosco. È uno degli animali più belli del mondo. Solo pensare alla lince mi rende felice. Vederla, sarebbe il tripudio. In alto i cuori.