L’NBA e il Sudan

E così, proprio nella settimana degli Oscar, ecco ritornare sulle copertine George Clooney.
Non su Empire o Variety, però. Su Newsweek.
Eccolo apparire anche in TV. Ma non su E! Entertainment. Sulla CNN.
Al suo fianco – molto più spesso di Elisabetta Canalis – c’è un tizio dai capelli lunghi e un pizzetto appena accennato. Sembra un po’ una rockstar, ma non lo è. È un attivista, è il fondatore di un’associazione che si chiama Enough Project e risponde al nome di John Pendergrast. Sulla copertina di Newsweek e sulla CNN, in pratica, George Clooney ce l’ha portato lui, portandolo prima in Sudan. Dove, ancor prima del bell’attore dallo sguardo profondo, aveva accompagnato anche Tracy McGrady.

E se Clooney è una star, beh, Tracy McGrady è un All-Star (era, perlomeno). Un All-Star NBA, uno dei fenomeni del basket americano. Per due volte miglior marcatore del campionato americano, per sette convocato per la partita delle stelle. La sua maglia n°1 – di Toronto prima, poi di Orlando e Houston, ora di Detroit – è stata a lungo tra le più vendute nel mondo. Poi però, a un certo punto, il suo 1 sulla maglia è diventato un 3. Indossando il 3 ha concluso la sua parentesi a Houston, con i Rockets, e ha vissuto quella newyorchese, con i Knicks. 3 come le tre P – “Pace. Protezione. Punizione”, gli obiettivi della popolazione sudanese post-conflitto. E tre come Tre Punti. Non il tiro da dietro l’arco, ma il film. “Three Points”, un documentario girato da Josh Rothstein che racconta il viaggio della strana coppia Pendergrast-McGrady tra Ciad e Darfur, a testimoniare gli orrori di un conflitto che ha segnato quasi tutto il primo decennio di questo terzo millennio.

McGrady, americano della South Carolina, non è poi l’unico giocatore NBA interessato alla causa. Perché fedele allo slogan “Global Game”, la NBA ha arruolato e arruola giocatori da tutto il mondo – e il Sudan non manca sul mappamondo del commissioner David Stern. Ecco allora a roster lo sfortunato Manute Bol prima, e Luol Deng oggi, di cui avevo già scritto una volta. Dopo averlo incontrato a Londra, l’anno scorso, l’ho rivisto proprio pochi giorni fa a Chicago e, prima di una partita importantissima dei suoi Bulls contro i Miami Heat di LeBron James (in cui Deng avrebbe segnato il canestro della vittoria), del suo Sudan abbiamo ripreso a parlare: “Amici e parenti sono lì, attraverso di loro ho seguito minuto per minuto i momenti storici del referendum per l’indipendenza”, mi ha detto. “Mio padre è attivamente coinvolto sul posto, io – dopo essere tornato in estate [il bellissimo video – si chiama “Niente Autografi” – lo potete vedere a fondo pagina] – cerco di aiutare da qui come posso. Il risultato del referendum è incoraggiante, sono fiducioso: certo, può succedere ancora di tutto, ma gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno fatto un gran lavoro nel vigilare e mantenere l’attenzione viva sul Sudan, per cui oggi diventa molto difficile per il governo di Karthoum impedire con la forza la secessione senza che altri Paesi e l’opinione pubblica si schierino in nostra difesa”. E Pendergrast? “È un grande, ha fatto e continua a fare grandi cose per la nostra gente”. E Clooney? “Quello che ha fatto è straordinario, l’ho davvero apprezzato”.

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).