Una multa per i barbari

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha condannato Amazon. Amazon ora dovrà pagare oltre 1 miliardo di euro di multa. Fin qui tutto bene. O meglio: fin qui tutto come al solito. Come è accaduto spesso in passato in pronunciamenti simili, magari di altre autorità dello Stato verso altri soggetti, o con provvedimenti del fisco o di un qualche tribunale che ha messo nel mirino Amazon o Apple, Google o Facebook, Uber o TikTok, lo schema complessivo si ripete ogni volta con modalità molto simili. La grande azienda predatoria e straniera, molto ricca e dalla cattiva fama, che indubitabilmente da anni riesce (in genere legalmente) a pagare pochissime tasse in Italia, in virtù della propria potenza economica e tecnologica piega a proprio vantaggio le leggi dello Stato sulla concorrenza o sulla privacy o su altri argomenti di grande importanza per i cittadini.

Poiché tutto si ripete ogni volta uguale non varrà nemmeno la pena di occuparsi del singolo caso. Più interessante sarà chiedersi quale sia il ruolo del regolatore, in questo caso dell’autorità Antitrust ma altre volte di Agcom, del Garante Privacy, dell’Agenzia delle Entrate o della magistratura ordinaria in vicende del genere. E il punto di contatto che unisce tutte queste decisioni mi pare essere quello della conservazione. Il tentativo, faticoso e spesso senza grandi risultati, di opporsi al grande potere effettivo delle grandi aziende tecnologiche non si occupa mai di garantire la sana permanenza dei cittadini dentro il loro tempo, ma, in genere, di provare a ristabilire rapporti di forza meno impari fra gli innovatori brutali e i sonnacchiosi predecessori.

Quando l’Antitrust condanna Amazon a un miliardo di multa non si occupa (né in effetti ne avrebbe titolo) dell’interesse dei cittadini che attraverso i loro rappresentati politici l’hanno eletta, ma degli interessi di altri soggetti economici che molto spesso, e storicamente, con i cittadini hanno identici rapporti di cattivo vicinato. Nel caso di Amazon allora la domanda sarebbe: a chi giova una punizione del genere? Migliora le condizioni delle consegne in Italia, le quali sono cambiate moltissimo da quando Amazon gestisce le danze, o semplicemente invoca un ritorno al passato e una resa ad ogni ipotesi di innovazione legata alla tecnologia?

Quando i tribunali europei stabiliscano che Google debba pagare un obolo agli editori per ogni singolo link che sulle proprie piattaforme vorrà dedicare ai loro contenuti, favoriscono l’ecologia dell’informazione in rete (e quindi, di seguito, la qualità dell’informazione per i cittadini, la democrazia e blababla…) o semplicemente cercano di dare un’ulteriore chance di sopravvivenza ad una industria editoriale in via di rapido affondamento?

La risposta, ragionevole ed usuale, delle varie authority, dei tribunali, dei garanti e in generale di simili soggetti che, in teoria, lavorano per l’interesse comune, sarà ogni volta che non spetta a loro occuparsi di come il Paese decide di rapportarsi con l’innovazione, che non sono loro che devono regolare i rapporti fra Uber e i tassisti o fra Airbnb e gli albergatori, che loro semplicemente applicano (e molto spesso interpretano) le norme vigenti.

Così l’Antitrust, alla fine non lavora per noi ma per Poste italiane o per i padroncini che per decenni ci hanno tranquillamente consegnato i pacchi dopo settimane di calvario, Agcom non lavora per noi ma per tutelare l’industria editoriale in crisi, e via di questo passo. Le authority sono – insomma – organismi conservatori che si occupano d’altro rispetto a noi.

Spazzare il campo da eventuali fraintendimenti al riguardo sarà comunque utile. Rendere questo Paese un Paese moderno dipenderà esclusivamente da noi. Nel frattempo la autorità regolatorie del Paese lavoreranno affinché tutto torni, nei limiti del possibile, esattamente com’era prima dell’arrivo dei barbari.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020