“Parla per la prima volta”

È una piccola cosa, ma un ottimo esempio di come le cose funzionino sbrigativamente nelle testate giornalistiche, e di come la trascuratezza sia la cultura che confeziona in generale ogni informazione che riceviamo. Oggi il Corriere ha una pagina su questo, alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione di Robert Kennedy.

Adesso, la faccio breve perché la storia raccontata qui è irrilevante, e vedete da voi di cosa si tratta: il dettaglio interessante è il “parla per la prima volta”, attributo annunciato spesso in questi casi, per dare un senso enfatico ed eccezionale alla ripetizione di storie e anniversari su cui non c’è molto più di nuovo da dire, e su cui invece i quotidiani sono sempre succubi dell’ansia da nuovo e del sensazionalismo da titolo. Al punto di scrivere “per la prima volta” routinariamente, senza controllare o senza voler controllare. E “senza controllare o senza voler controllare” è il modo in cui i quotidiani raccontano il mondo, ogni giorno (daccapo: non c’entrano i singoli giornalisti, ce ne sono di più e meno accurati, è proprio il modo di lavorare tramandato fin dalle scuole, una cultura).
E infatti il signore nella foto non “parla per la prima volta”: ha già raccontato queste cose, compresa la frase citata nel titolo. Qui tre anni fa, per esempio.

«Mr Romero said: “First he asked ‘Is everybody OK?’ and I told him ‘Yes, everybody’s OK’. And then he turned away from me and said ‘Everything’s going to be OK’»

Ma è almeno dal 1998 che Romero parla con i giornalisti e racconta queste cose. E quando qualcuno chiede a noi che ce ne occupiamo “come si fa a riconoscere che una cosa è falsa, sui giornali?”, la prima risposta è semplice: se suona implausibile (c’è una foto leggendaria di un evento storico eccezionale, e nessun giornalista ha mai parlato col protagonista della foto?) probabilmente è perché è implausibile, e bastano trenta secondi su Google per rivelarlo.

E soprattutto, non ce n’era bisogno, di raccontare una balla (spacciata stavolta dai giornali di mezzo mondo): è una gran storia, anche se non è nuova.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).