Poi dice la fuga dalla politica

Cerchiamo di non drammatizzare, che abbiamo tutti abbastanza pensieri da non volerci far mettere di cattivo umore dai comportamenti di un gruppo di maschi alienati con cui non abbiamo particolari relazioni.
Ma non è da ubriachi completi che 55 giorni dopo le elezioni si stia ancora parlando di un eventuale accordo tra M5S e PD senza che in 55 giorni nessuno sia stato capace di avanzare una sola proposta in questo senso? Tutta la discussione è solo intorno a uno sterile e astratto “accordo”, in assenza di qualunque tema su cui accordarsi. Che senso ha proporre di scordare il passato se non si sa evocare nessun futuro? Scordarselo per fare cosa? E se in 55 giorni nessuno è stato capace – essendo nei fatti impossibile – di dire all’altro “ok, veniamoci incontro su questo, noi siamo disposti a”, di cos’è che stiamo parlando? Abbiamo presente che la pretesa “trattativa” sta avvenendo non su temi da discutere, ma sul discutere o no eventualmente dei temi da discutere? Avete letto il post su Facebook di Maurizio Martina – lo cito con rispetto, ma incredulo – di cui i quotidiani hanno fatto titoli da homepage? Non c’è un solo termine concreto, letterale (che so, “immigrazione”, “internet”, “gomito”, “mestolo”) in quaranta righe di formulazioni democristiane che eludono come non ci sia nessuno spazio né sforzo possibile per parlarsi: vuoi parlare col M5S? Fallo, se sei capace, invece di scrivere post su Facebook. E com’è che non l’hai ancora fatto, com’è che non lo stai facendo in questo momento, che diamine, che domani siamo a 56? Leggete le presunte aperture di Fico o Di Maio che vengono riportate da 55 giorni e trovateci una proposta qualunque e non solo una truffaldina richiesta di resa. È che nessuno sa cosa dirsi con un partito che non ti offre niente se non il suo panico da essersi giocato il progetto coi fascisti (e averlo esaltato e rinnegato in due giorni: la “chiusura definitiva”, la chiama Martina) e il suo timore di non ritrovare ognuno le sue agognate poltrone al prossimo giro.
Scusate, ho detto “poltrone”, termine stupido della demagogia dei fessi. Si diventa tutti fessi, in questa situazione.
A me piace quella frase abusata sul cammino che è più importante del traguardo, il viaggio che è più bello dell’arrivo: ma intendevamo un viaggio, non girare in tondo in un ripostiglio buio.
Cerchiamo di non drammatizzare. Ma ci vòle la su’ pazienza.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).