Si giochicchia

Tanti anni fa avevo elevato il basket a metafora del principale meccanismo che orienta le cose del mondo: ovvero la variabile minima che risolve e decide, prevalendo su regole, su rapporti di forza e di causa ed effetto, su convinzioni radicate e rigide. In molta parte delle partite di basket si gioca per oltre un’ora in condizione di pareggio o quasi, rincorrendosi o superandosi di poco, e tutto è deciso negli ultimi minuti, o nell’ultimo minuto. Oppure, se la volete vedere così, la partita è decisa da un vantaggio esiguo preso in pochi minuti e mai recuperato. E ci sono molte partite di basket – a volte decisive, a volte definiscono chi sarà il campione, chi il numero uno – in cui tutto è risolto da un canestro finale o no, e a volte da un centimetro a destra o a sinistra. E per quel canestro, per quel centimetro, dal giorno dopo quella sarà la squadra vincitrice, la squadra più forte.

Certo, è vero che accidenti così volatili ne capitano tantissimi e vanno contati tutti: e che la squadra più forte è quella che riesce a trarne a proprio favore di più: è vero che alla fine, quel centimetro non favorisce mai una squadra di brocchi. Ma resta che spesso è un batter d’ali di farfalla a far prevalere una squadra o un’altra, tra quelle più forti. Un centimetro. Se vi è più familiare, pensate ai calci di rigore: noi dopo diremo che quella squadra è la più forte del mondo, ma a un certo punto sarebbe bastato un niente del tutto plausibile perché fosse stata eliminata in favore di un’altra. Un rigore parato. E ora staremmo dicendo tutt’altro.

È un discorso molto ampio che ha a che fare con le teorie del caos, con la statistica e con mille altri ambiti scientifici e logici, e io lo sto molto semplificando. Per essere chiari, questa valutazione non esclude che quindi non si debba progettare e affrontare meglio che si può ogni passaggio della propria prestazione: è proprio sbagliando il meno possibile che si arriva a essere uno di quelli a cui il centimetro può dare la vittoria. O uno di quelli che possono permettersi una volta il centimetro in meno.

Comunque, lo sto semplificando per dire che la campagna elettorale italiana – e quando parlo di campagna elettorale parlo del groviglio complice e speculare di politica e informazione – mi pare ormai governata da simili leggi e mi suggerisce lo stesso atteggiamento. Ogni cosa che ne leggiamo ogni giorno – e quasi ogni cosa che vi accade davvero – suona irrilevante, dal momento che sarà potenzialmente smentita e superata tra un giorno, una settimana o un mese. È come se stessimo giocando 90 minuti di una partita che si sa già che sarà decisa ai rigori. Il massimo che può succedere è che qualcuno si stanchi di più o di meno nei 90 minuti, ma tanto saranno quegli ultimi minuti a decidere tutto, sarà il centimetro di un tiro libero. O meglio ancora, è come se fossimo stabilmente in quegli ultimi minuti dei supplementari in cui si giochicchia aspettando il fischio e i rigori. Un giorno siamo nell’ordine di idee di una foto di Vasto, un altro giorno in quello di un’alleanza del PD con Casini, un altro di una sintonia con Vendola, un altro che Bersani ha litigato con Casini, e così via. Berlusconi si candida, Belusconi non si candida, Berlusconi eccetera. Di Pietro con Grillo, Di Pietro col PD, Di Pietro da solo, eccetera. Monti ci sarà, Monti non ci sarà, eccetera. Ci siamo lasciati dietro già decine di notizie di questo genere, e di scenari esaltati e già spariti, e altre decine ne passeranno e si alterneranno. Innesco della politica, amplificazione dei media, reazione della politica, eccetera; oppure invenzione dei media, reazione della politica, amplificazione dei media, eccetera. Dichiarazione, reazione, dichiarazione smentita. Ma niente di tutto quello che succede fa punti, fa definitivo, fa chiarezza. Ammetterlo implicherebbe constatare l’inutilità del 90% dell’impiego del tempo di politici e giornalisti politici, e quindi se ne parla poco. Si giochicchia, si perde tempo. Oggi Bersani ha litigato con Casini, domani chissà, eccetera.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).