Professionisti dell’anti politicamente corretto

Che una insistita e vecchia campagna che anima da anni un sovreccitato manipolo di commentatori sia condotta contro una cosa che si chiama “correttezza”, già basterebbe a far nascere qualche dubbio sulla sua sensatezza. Quando si trattò di attaccare i buoni, i cattivi inventarono almeno la categoria del “buonismo”, perché prendersela ufficialmente con la bontà sembrava sinceramente impraticabile: ma nel caso della correttezza politica non si è escogitata neanche una denonimazione svilente, e si è costruito tutto un pensiero che va dicendo che sia sbagliata in quanto tale, legittimando più o meno esplicitamente la scorrettezza.
È un tema che si intreccia con quello che scrissi qui a proposito di certi atteggiamenti del direttore del Foglio. Se anni fa anche fuori dall’Italia si è discusso sensatamente – ne ho scritto anche in Un grande paese – di alcuni eccessi egalitaristi che si facevano alibi di una pretesa “correttezza politica” (e poi si è passati ad altro), in Italia quel dibattito è stato provincialmente ridotto a un modo come un altro di alcuni commentatori, giornalisti e intellettuali di sfogare i propri fastidi verso alcuni loro colleghi, esaltando ogni scorrettezza possibile per attaccare presunte ipocrisie o superficialità di giudizio. Il risultato è che se oggi suggerisci di aiutare una vecchietta ad attraversare la strada trovi sempre qualcuno che ti accusa di correttezza politica e spiega che aiutare la vecchietta impedisce l’efficace e libero dispiegarsi del traffico automobilistico. Il lavoro di questi critici è così diventato solido corresponsabile della dilagata inclinazione italiana a violare le regole, comportarsi male, non rispettare norme e comportamenti un tempo condivisi, essere insomma scorretti. I corretti hanno torto, e sono anche un po’ sfigati.

Uno dei più frequenti interpreti di questi messaggi è Pigi Battista, sul Corriere della Sera. Ciò che lo anima è facilmente leggibile, e non è malvagio né malintenzionato, ma solo sproporzionato: ovvero l’aver frequentato nella vita – e tuttora frequentare, evidentemente – alcune ormai stagionate macchiette di intellettuali di sinistra che in qualche residuale ristorante della Maremma continuano a sostenere relativismi culturali superficiali e sbrigative difese di categorie basate su letture anacronistiche e superficiali. Il risultato è che per Pigi Battista e alcuni altri suoi compagni, la sinistra italiana è rappresentata da Furio Colombo e Alberto Asor Rosa, tipo. E bisogna fare argine.

Che sia una cosa di piccoli fastidi personali che prevalgono sulla sostanza e sulle conseguenze ormai lo spiega Battista stesso. Come oggi.

Dice a un certo punto l’avvocato per turbare la sensibile donna politically correct in Carnage di Roman Polanski: «L’altro giorno ho visto un programma in tv con la sua paladina Jane Fonda: alla fine volevo iscrivermi al Ku Klux Klan». Buona battuta. Qualcosa di analogo l’aveva concepito anche Philip Roth nel suo romanzo Inganno quando fa confessare al protagonista, esasperato dalle banalità anti-americane e anti-israeliane eroicamente sopportate in decine di cene chic, una voglia irrefrenabile di difendere il bombardamento atomico di Hiroshima e analoghe nefandezze. La forza del politicamente corretto ha infatti questo di peculiare: la magniloquente prosopopea con cui snocciola le sue dolciastre ovvietà. Per questo l’irritazione può giocare brutti scherzi. E provocare reazioni paradossali. Bisogna resistere.

Il fatto è che poi Battista non resiste. E insiste su “quella asfissiante coltre di luoghi comuni, quel lessico melenso e intimidatorio insieme, inclusivo con i devoti ma ferocemente ostracizzante con i reprobi, intriso di bontà per l’umanità in generale, ma crudelmente punitivo con gli esseri umani nella loro singola, concreta, empirica realtà non esercitasse ancora la sua occhiuta dittatura nel discorso pubblico e nei manuali di conversazione corretta”. Ma alla fine cerca di sostanziare in qualche modo, di mostrare gli elementi che comporrebbero “quella asfissiante coltre” che tutti voi avrete presente, asfissiati come siete.

Una ragazza viene pestata a sangue vicino a Pesaro da suo padre musulmano per la sua peccaminosa voglia di indossare abiti «occidentali»? Denunciarlo, sostengono gli apostoli della correttezza, è fomentare lo «scontro di civiltà». E poi in Sicilia anche i padri cristiani non segregavano le loro figlie? Hai qualche dubbio sull’opportunità di mettere online le dichiarazioni dei redditi e di scatenare l’ondata melmosa della delazione e dei rancori di vicinato? Per forza, sei un amico degli evasori fiscali. Hai qualche dubbio che lo Stato debba mantenere a vita ballerini e ballerine che non possono anagraficamente più esercitare la loro attività? Sei un nemico della cultura insensibile ai mostruosi tagli che colpiscono le fondamenta del nostro vivere civile. Sei favorevole all’intervento dei privati per la salvezza e manutenzione di monumenti, palazzi, chiese, piazze storiche? Vuol dire che vuoi regalare all’odioso mercato un patrimonio pubblico, favorire i biechi capitalisti, equiparare la cultura a una merce.

Ora, io non so voi, ma io frequento molte persone: e non mi è capitato di sentire nessuno dire che denunciare un padre che picchia la figlia è “fomentare lo scontro di civiltà”. Quelli che frequento lo riterrebbero un imbecille, semplicemente, ma non ci è capitato di incontrarne uno. E sulla pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi ho letto e sentito moltissime critiche venire da persone anche di sinistra, anche sul Corriere: io sono meno scandalizzato, ma non ho mai pensato che chi abbia opinioni diverse sia un evasore o un amico degli evasori, né lo penserei di Battista. Non vedo manifestazioni in difesa di “ballerini o ballerine” mantenuti (vedo interventi in difesa di veline e velini mantenuti, però), ma capisco che anche queste accuse di Battista siano apprezzate da molti suoi lettori disabituati a conoscere il mondo e più inclini a trovare soddisfazione nella descrizione dei propri cliché. E infine di chi sia genericamente “favorevole all’intervento dei privati per la salvezza e manutenzione di monumenti, palazzi, chiese, piazze storiche” penso che abbia un’opinione un po’ sommaria e rischiosa, visto che le cose sono complicate e i casi molto diversi e bisognosi di essere capiti e distinti. Ma in alcuni di quei casi, penso che sì, si rischi in effetti di “regalare all’odioso mercato un patrimonio pubblico, favorire i biechi capitalisti, equiparare la cultura a una merce”. Ed ecco che aveva ragione Battista, quindi: siamo ovunque, noi profeti del politicamente corretto, e ce ne vantiamo anche un po’.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).