Umberto Eco contro i media tradizionali

Questa settimana Umberto Eco dedica la rubrica nell’ultima pagina dell’Espresso a una sua versione personale delle “Notizie che non lo erano”, elencando una serie di notizie che lo riguardano di cui ha saputo (soprattutto trovandole in rete) e che sono false.

Eco conclude la sua lista con questa considerazione (evidenziata anche nel vistoso sommario dell’articolo):

Ormai internet è divenuto territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti.

Che può essere in generale una considerazione interessante e discutibile, anche se un po’ perentoriamente assoluta per uno che si dice poco dopo sostenitore del relativismo. Ma il problema è che non ha niente a che fare con quello di cui Eco ha appena parlato. I suoi esempi di notizie false riguardano infatti, come lui stesso racconta:

–       lo Herald Tribune (un quotidiano di carta) ripreso dal Fatto (un quotidiano di carta) che ha pubblicato una falsa lettera di Eco senza controllare

–       l’Adnkronos (un’agenzia di stampa) che ha ripreso una dichiarazione su Eco che Eco dice infondata

–       un libro (di carta) che ha pubblicato una prefazione di Eco che Eco sostiene di non avere scritto

–       un’altra notizia, sbagliata, di Adnkronos (che è sempre un’agenzia di stampa)

Ovvero quattro esempi di falsità pubblicati tutti su mezzi di informazione tradizionale che non hanno niente a che fare con la rete e che rendono del tutto pretestuosa e immotivata la considerazione su internet (considerazione pubblicata sull’Espresso, giornale di carta).

La circostanza è interesante perché esemplare. C’è una grande congiura della menzogna – nei giornali tradizionali e nei mondi più diffidenti su internet – che attribuisce a internet i difetti che sono stati insegnati e vengono tuttora diffusi dai media tradizionali. Non mi prendete sul serio sul termine “congiura”: parlo di una superficialità un po’ ignorante e conformista che si adegua volentieri a una teoria autoassolutoria. Ne parlai più estesamente qui, e mi cito perché Eco oggi conferma quelle considerazioni:

I media tradizionali accusano la rete di devastare la qualità dell’informazione in quattro modi diversi.
– Uno è la diffusione di notizie infondate, inaffidabili, false, non verificate.
– Il secondo è il saccheggio del lavoro prodotto da altri, per ottenerne traffico e guadagni senza alcun merito.
– Il terzo è l’eccesso di autoreferenzialità e ombelichismo dei contenuti in rete.
– Il quarto è la riduzione di ogni dibattito e confronto a polemiche aggressive e violente.
E non c’è dubbio che ognuna di queste accuse abbia una sua parte di fondamento. Ma la cosa che dobbiamo capire è se siano le nuove tecnologie a introdurre queste deviazioni nel sistema dell’informazione, o se esse non esistano già solidamente insediate nei media tradizionali. Rivediamole una alla volta, queste accuse formulate a internet, in relazione ai media tradizionali.

Uno: la diffusione di notizie infondate, inaffidabili, false, non verificate.
Quando alla Gazzetta dello Sport mi proposero una rubrica settimanale di notizie uscite sui giornali che poi si sarebbero rivelate false (o che lo erano già palesemente) fui preoccupato di trovare materiale con abbastanza frequenza. Oggi, due anni e mezzo dopo, quella rubrica potrebbe avere frequenza doppia, e costituisce un repertorio indiscutibile di prove a carico dell’inaffidabilità dell’informazione italiana. Ci sono sostanzialmente tre tipi di falsità giornalistiche: quelle per cialtroneria che non sa e non controlla, quelle per adesione a un comunicato stampa o sondaggio, quelle per tifoseria politica.

La rubrica di Eco, di cui non mi azzardo a presumere i pensieri, ricade forse in una declinazione dell’ultimo tipo: per desiderio di far corrispondere la realtà a un proprio pregiudizio, a sua volta figlio di una formazione culturale ormai troppo radicata per essere più duttile nei confronti della realtà e della verità che la stanno mettendo in crisi. Ma la evidente contraddizione spettacolare tra gli esempi che fa e il suo commento non può essergli comunque invisibile. Come non possono esserlo neanche le corrette conclusioni di ciò che racconta, che avrebbero dovuto essere:

I media tradizionali sono divenuto territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti. Per fortuna che internet spesso permette di conoscere e smentire cose che prima non era possibile.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).