Un giorno come un altro

Ieri mi sono incuriosito agli sviluppi della separazione tra il Sole 24 Ore e Gianni Riotta, perché rivelava dei pessimi meccanismi dell’informazione italiana di cui sono ormai piuttosto esperto. E perché ho riconosciuto a un certo punto la stessa successione di eventi e piccoli imbrogli che si era svolta nella giornata della separazione tra Unicredit e Alessandro Profumo.

L’antefatto è che i rapporti di Riotta col suo giornale erano piuttosto incasinati da molto tempo. Su molti fronti e per molte ragioni, ma adesso non è importante approfondire. Quello che c’è da sapere è che molti dentro il Sole volevano far fuori Riotta e ci lavoravano da tanto tempo. Uno dei modi con cui il fronte avverso cerca di farti fuori, in ogni contesto, è quello di esaltare la tua debolezza e darti già per sconfitto. Quindi da molto tempo – il mondo dei giornali è una macchina del chiacchiericcio permanente – circolavano versioni sulle imminenti dimissioni di Riotta, o su un suo licenziamento, sistematicamente smentite dai fatti e dal CdA dell’editore.

Inciso: esiste un ingenuo equivoco tra chi segue distrattamente i pettegolezzi giornalistici, per cui il fatto che alcune previsioni a un certo punto si verifichino ne dimostrerebbe la fondatezza. In realtà è un atteggiamento simile a quello dei lettori degli oroscopi: le voci e le previsioni che circolano sono mille, molte si rivelano del tutto sbagliate, altre semplicemente vengono confermate inevitabilmente ma a mille giorni di distanza. Come se domani morisse una persona famosa e chi avesse detto tre anni fa che lo vedeva pallido dicesse “ah, vedi che c’era qualcosa!”.

Veniamo a questi giorni. Giovedì Riotta ha posto al CdA dell’azienda un ultimatum su alcune questioni editoriali essenziali al rilancio del giornale che si trascinano da molto tempo: dicendo di fatto che solo a quelle condizioni sarebbe stato in grado di continuare a dirigere il Sole. Questa richiesta però è stata trasformata, non si sa come, in una “lettera di dimissioni” citata da siti e agenzie sabato. Facile immaginare un telegrafo senza fili interno, maldestro o malintenzionato, che abbia portato a quella notizia: meno facile accettare che senza nessun riscontro le agenzie di stampa e i siti dei grandi quotidiani abbiano pubblicato la versione delle dimissioni. Ma è quello che accade quotidianamente in molti altri casi.

Fatto sta che Riotta ha tempestivamente smentito di essersi dimesso. Se uno smentisce di essersi dimesso, vuol dire che non si è dimesso: a meno che non vogliamo immaginare che Riotta si fosse dimesso di nascosto, senza volerlo far sapere a casa. A quel punto sabato è scattata la ormai consueta formula del “giallo sulle dimissioni di Riotta”. E arriviamo a ieri.

E qui come nella storia Profumo, quello che scrivo è una mia personalissima ipotesi bastata sull’osservazione dei fatti e sull’esperienza: non ho fonti, non ho informazioni privilegiate, non sono in nessun rapporto con Riotta (per il quale, lo dico per quelli a cui scatta il tic, ho anzi solide diffidenze).
Ieri era il giorno in cui il CdA avrebbe dovuto discutere delle richieste di Riotta e delle prospettive conseguenti, mettendo di fronte quelli a lui favorevoli e i suoi detrattori. Alle 15 circa Dagospia, abituale sito sicario di pessime intenzioni, scrive che Riotta si è dimesso, con un titolo e una pagina vuota (“Johnny Riotta si è dimesso davvero”). A quel punto il CdA non era neanche cominciato (e la discussione sarà poi lunga), e soprattutto Riotta non si era dimesso. Era un falso a gamba tesa.
Da lì in poi, il comportamento di agenzie e siti dei quotidiani è: sarà vero? aspettiamo un po’ e poi lo scriviamo anche noi. La dimensione di quel “po’” è variabile: alcuni più ruspanti siti scrivono che Riotta si è dimesso poco dopo (certi usando persino la formula “è ufficiale”, che avrebbe ben altro significato che non un titolo di Dagospia), altri fanno passare qualche ora. Nelle due ore seguenti persino la Reuters e Milano Finanza attribuiscono a fantomatiche “fonti vicine alla vicenda” la notizia che Riotta si sia dimesso. Benché la stessa Reuters spieghi che il CdA è appena cominciato. Quindi di certo il CdA non ha “dimesso” Riotta e la notizia sarebbe fondata solo se davvero il direttore avesse annunciato lui le sue dimissioni.

Cosa che però non era avvenuta. E di fatto non avverrà mai. Perché dopo un tempestoso CdA (“tempestoso” è l’unica cosa che mi raccontano tra quelle scritte qui), quello che avverrà a sancire la separazione sarà un messaggio di Riotta su Twitter alle 19 che si limita a dire di avere rimosso dal suo status la dicitura “direttore del Sole 24 Ore”, e un comunicato a tarda sera del CdA in cui si dice che “Riotta lascia” la direzione del giornale.

Che è esattamente quello che successe con Profumo, quando si arrivò a una separazione dopo lunga battaglia anche sui termini di quella separazione, battaglia a cui parteciparono volonterosi e complici molti media durante la giornata. In quel caso con danni e incoscienze molto più gravi, in questo caso solo facendo male il loro lavoro, che sarebbe stato di spiegare cosa succedeva e perché, invece di fare la gara a chi arrivava primo a dare una notizia che ancora non era e che formalmente non sarebbe stata mai, partecipando a giochi altrui o propri.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).