Thru these walls

Io credo sia venuto il momento della riconciliazione e del superamento delle divisioni. Lasciarsi il passato alle spalle, quelle cose lì. E rivalutare la figura di Phil Collins nella sua giusta prospettiva storica.
Alla fine, ammettiamo che fu Peter Gabriel ad andarsene, e Collins si prese la responsabilità e l’impegno di non far naufragare i Genesis dopo soli quattro anni di grandissimi dischi. La storia ha dimostrato che non fu la stessa cosa, d’accordo: ma ci furono ancora dischi molto belli, e trattare per tutti questi anni Collins come la Yoko Ono dei Genesis è stato ingeneroso. Ha fatto anche cose onorevolissime a suo nome, prima di prendere una china svenevole fatta di canzoni Disney e dischi inutili registrati tutto da solo nel salotto di casa.
Io credo insomma che l’uscita, a settembre, di un nuovo disco di Phli Collins fatto di cover di canzoni Motown – 27 anni rifece “You can’t hurry love” e gli venne bene, ammetetelo – sia l’occasione di ritrovarsi iin una casa comune tra i fan dei Genesis di indulgenze diverse, ringraziarlo come merita per quello che ha onestamente fatto, e a scanso di rischi dirgli: “adesso basta, però, eh?”.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).