Anche come “uomo forte” avremmo meritato di meglio

È chiaro ormai da qualche giorno, se ne è scritto e detto molto, che l’azzardo di Matteo Salvini nell’aprire la crisi di governo si basava sulla convinzione che il Partito Democratico non avrebbe mai preso in considerazione di allearsi col Movimento 5 Stelle, per due ragioni.

La prima: perché Nicola Zingaretti – il nuovo segretario del PD, che controlla gli organi di partito – ha probabilmente delle buone ragioni per voler votare subito: per scegliere i parlamentari del PD, innanzitutto, visto che gli attuali rispondono quasi tutti all’ex segretario Matteo Renzi; perché dal 17 per cento preso alle ultime elezioni politiche si può soltanto crescere; perché altrimenti rischia di veder rosolare il suo effetto novità a sostegno di un governo pasticciato come quello che potrebbe nascere adesso. La prospettiva di Zingaretti sarebbe stata comunque allearsi con il Movimento 5 Stelle, nel sistema tripolare odierno non si vedono grandi alternative, a sinistra che piaccia o no esiste solo il Partito Democratico e la “vocazione maggioritaria” è stata accantonata con sdegno: ma allearsi dopo il voto, da vincenti o quantomeno in rimonta e con un M5S in calo, quindi sulla base di nuovi equilibri politici.

La seconda: perché Matteo Renzi – che controlla i gruppi parlamentari del partito – era stato in assoluto il dirigente del PD più duro e ostile davanti a ipotetiche alleanze con il M5S.

Il calcolo quindi era: se la Lega si tira indietro dal governo e il PD non va con il M5S, non c’è alternativa al voto. Come sappiamo, tutto è saltato con la mossa di Renzi. Lo hanno detto in questi giorni anche diversi esponenti della Lega.

Vedremo cosa accadrà adesso. Per quanto l’alleanza tra il PD e il M5S sembri oggi lo scenario più probabile, non è detto che si materializzi; e le grandi debolezze di entrambi i partiti non fanno certo pensare a patti forti e duraturi, né a governi particolarmente efficaci. Sappiamo però che ogni giorno che passa nella trattativa e nel negoziato – anche se questo dovesse saltare – è un giorno che ci avvicina alle scadenze ineludibili sulla legge di bilancio, e quindi è un giorno che allontana le elezioni a ottobre.

Ammesso poi che si faccia questo nuovo governo, può darsi anche che la Lega finisca per trarre dei vantaggi dal ritorno all’opposizione, e dal fatto che sarà come sempre qualcun altro a raccogliere impopolarmente i cocci dei danni che ha fatto al governo. D’altra parte agli italiani piace molto lo spaccone da spiaggia, in questi anni. Allo stesso modo, può darsi che no: chissà se il Parlamento salverà di nuovo Salvini da un processo, per esempio, scenario che potrebbe avverarsi presto. Chissà che i malumori nel suo partito riferiti dai giornali non abbiano qualcosa di vero. Vedremo.

Consiglio però di non esagerare con dietrologie e complottismi: i fatti suggeriscono fortemente che nei piani di Salvini questa crisi non sarebbe dovuta andare così. Che la volontà di Salvini non fosse privarsi della posizione di potere e visibilità che lo ha portato in un anno dal 17 al 34 per cento per tornare subito all’opposizione, magari per un po’, cedendo del tutto il controllo della situazione. Non si presenta una mozione di sfiducia per ottenere un rimpasto che peraltro gli era stato offerto più volte. Non si ritira quella mozione di sfiducia cinque minuti prima che il presidente del Consiglio vada a dimettersi al Quirinale, se non si è disperati. Non si dichiara finito un governo per poi tre giorni dopo, quando l’aria è cambiata, fare dichiarazioni da fidanzato pentito come “il mio telefono è sempre acceso”. Non si accusa PD e M5S di essere d’accordo da mesi quando sei stato tu ad aprire unilateralmente la crisi e non loro, ammettendo quindi di essere stato più scemo di tutti gli altri. Anche come “uomo forte” avremmo meritato qualcosa di meglio di questo formaggino.

Ora, pensate quello che volete di tutta questa storia, ovviamente: il giudizio è libero. Però i fatti sono abbastanza inequivocabili, a prescindere dal giudizio: Salvini ci ha provato e ha fallito, anche su questo. Su questo si può essere ragionevolmente certi: ieri sera, da solo, nel buio della sua cameretta, il più scaltro e il più furbo di tutti, il “capitano” che bullizza i giornalisti e si comporta allo stesso tempo da vittima perenne e padrone del paese, è andato a dormire pensando che si è fatto fregare come un pollo.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).