Un consiglio all’opposizione, sui migranti

Me li ricordo, io, gli anni dei governi Berlusconi: e mi ricordo di come, in nome dell’indignazione e del desiderio di creare un unico “fronte repubblicano” per proteggere lo status quo dalle riforme berlusconiane, la cosiddetta opposizione si ritrovava spesso e volentieri a difendere cose indifendibili. Per cui ecco, mentre molti si arrabbiano e si indignano – giustamente, secondo me – per la decisione del governo di chiudere i porti a una nave che ha salvato in mare 620 persone disperate, tra cui molti bambini, chi vuole essere veramente alternativo al governo Salvini (perché questo è) dovrebbe evitare che questa comprensibile avversione lo porti a difendere cose indifendibili.

Per esempio le regole comuni oggi in vigore in Europa. L’accordo di Dublino, che obbliga i migranti a fare richiesta di asilo nel primo paese europeo in cui arrivano, è notoriamente anacronistico e fallimentare: ma permette a diversi paesi europei di lavarsi completamente le mani di questo fenomeno storico e dei suoi costi economici e politici, permettendogli di lasciare le sole Italia e Grecia a gestire il grosso dell’immigrazione verso l’Europa via mare. Quindi l’accordo di Dublino rimane lì. Non sto dicendo certo che la soluzione sia lasciare 620 poveri disgraziati in mezzo al mare, ma appunto: occhio a non fare per questo l’errore di rispondere – agli elettori, prima che a Salvini – che la soluzione al problema sia trattare condizioni migliori con gli altri paesi europei. Ci abbiamo provato, in questi anni, ed è stato inutile: ci abbiamo provato anche con governi molto più forti e credibili di questo, e persone molto più competenti. Il paradosso è che gli stessi del PD che hanno provato a riformare il regolamento di Dublino e non ci sono riusciti, non necessariamente per via di colpe loro, oggi dicano a Salvini che dovrebbe provare a riformare il regolamento di Dublino. Campa cavallo.

Per esempio i nostri amici e partner europei: e qui parlo dei capi di stato e di governo, quelli che decidono davvero, e non dell’Unione e delle sue istituzioni, continuamente condizionate e azzoppate dai capi di stato e di governo di cui sopra. Prima dicevo che l’Italia ha provato a trattare ed è stato inutile, ma in realtà non è così: è stato oltraggioso. Alla fine del 2015, infatti, mentre l’Italia sperimentava un aumento annuale degli sbarchi del 277 per cento, la Commissione europea aveva messo in piedi un programma di “relocation”, prevedendo cioè la distribuzione sui vari paesi europei dei migranti “con evidente bisogno di protezione”, per alleggerire la situazione di Italia e Grecia. C’erano delle quote per ogni nazione, erano tutti d’accordo, la decisione era stata presa: e poi molti hanno fatto finta di niente. La Bulgaria ha accolto 10 (dieci) migranti dall’Italia, la Romania 45, la Slovacchia nessuno, l’Irlanda nessuno, l’Ungheria nessuno, la Polonia nessuno. Non siamo soli a gestire questo enorme fenomeno, certo: ma i dati mostrano che negli ultimi anni Germania, Italia e Grecia da sole si sono fatti carico di quasi l’80 per cento delle richieste d’asilo presentate in tutti i 28 paesi dell’Unione Europea (per quelli che “ma allora ha ragione Salvini”: Salvini si è alleato con quelli che hanno preso in giro l’Italia più di tutti gli altri).

In questi anni, quando si è parlato di immigrazione, il messaggio dei nostri amici, alleati e partner europei è stato: sono cazzi vostri. Opporsi alla decisione del governo sulla nave Aquarius è secondo me sacrosanto, come ringraziare e finanziare le ong per il lavoro insostituibile che fanno nel mar Mediterraneo, ma fate attenzione a suggerire che l’alternativa sia “lavorare insieme all’Europa” oppure una generica “strada diplomatica”. È vero che la Francia fa quello che vuole. È vero che quando si aprì la “rotta balcanica” i nostri amici, alleati e partner europei alzarono davanti ai migranti barriere di filo spinato per ricacciarli indietro. La storia per cui sull’immigrazione dovremmo lavorare con i nostri amici, alleati e partner europei è una barzelletta a cui non crede più nessuno, tantomeno gli elettori di Salvini, che su questo punto hanno ragione. Qual è allora la strada alternativa? Quella di Gentiloni e Minniti era sicuramente una strada pragmatica, che prevedeva una certa quota di sofferenze umane come male necessario: ma non era una vera alternativa, perché la diplomazia ha fallito, le altre nazioni ci hanno quasi tutte presi in giro e dovendoci arrangiare siamo finiti a minacciare la chiusura dei porti, proprio come Salvini, maltrattare le ong, proprio come Salvini, e chiudere un occhio davanti ai famigerati campi di concentramento in Libia. La strada alternativa è, appunto, l’unica strada veramente alternativa. Li accogliamo. Perché è giusto. E basta. Li accogliamo tutti? È una domanda stupida: non sono tutti.

Non è una cosa da rivoluzionari di estrema sinistra: lo ha fatto una leader conservatrice e moderata come Angela Merkel. Bisogna essere però forti, credibili e coraggiosi, certo. Non è una cosa esente da rischi, anzi: l’integrazione è dolorosa e complicatissima persino in Germania, dove c’è la piena occupazione, figuriamoci qui. Non è una strada promettente per chi vuol fare una lunga carriera: si rischiano di pagare grossi prezzi politici. Non è una strada facile: per percorrerla bisogna prima lavorare molto dal basso, sul territorio, come dicono quelli, perché sia una scelta che abbia un consenso popolare vero, anche se ovviamente non assoluto. Avete da fare nei prossimi cinque anni? Di tempo ce n’è.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).