Ora tocca a qualcun altro, al PD e al governo

Tutti i paesi europei fanno i conti con movimenti estremisti, populisti, anti-immigrati, eccetera, ma noi siamo gli unici in cui questi movimenti contano tutti insieme – M5S più Lega più FdI – quasi il 50 per cento dei voti, secondo i sondaggi. Quasi il 50 per cento. Per cui senza dubbio questa è l’offerta politica che ci meritiamo e che avrà la meglio il 4 marzo: e d’altra parte non vedo a sinistra e a destra del PD tutto questo struggersi davanti alla scheda elettorale. Mi sembrano tutti piuttosto entusiasti di votare le opzioni di cui sopra. Gli unici che andranno a votare col mal di pancia sono quelli che andranno a votare l’unico partito normale di questo paese. […]

Questo è un post che prende atto con enorme preoccupazione del fatto che oggi in Italia la democrazia sia mutilata non dai presunti “poteri forti” – semmai dalla loro pavida abdicazione – bensì dall’impossibilità di esercitare una vera scelta tra opzioni politiche anche molto diverse ma che non facciano temere tragedie. Perché di questo si parla, e se non ne avete la percezione forse pensate che un governo Salvini o uno Salvini-Meloni-Di Maio non possano davvero accadere.

Beh, non era uno scenario così difficile da prevedere, no? Chi è stato sorpreso dai risultati elettorali forse prima era stato un po’ distratto.

Chi non ha votato per l’alternativa a Salvini-Di Maio in nome del rifiuto di votare il male minore ha fatto una cosa più che legittima: e otterrà così il male maggiore. Chi percepiva con urgenza la necessità di evitare un governo Salvini o un governo Di Maio-Salvini, i due esiti più probabili sia prima che dopo il voto, anche a costo di fare qualcosa di indigesto, poteva fare la cosa indigesta di votare per il centrosinistra: chi non lo ha fatto perché – ripeto, legittimamente – non poteva tollerare di votare Partito Democratico, dovrebbe avere l’onestà intellettuale e la buona creanza di non suggerire oggi, in nome del male minore, che sia dovere del Partito Democratico fare una cosa indigesta e sostenere un governo del Movimento 5 Stelle o della Lega. L’ennesima cosa indigesta, peraltro, visto che si parla di un partito che ha passato gli ultimi sette anni a governare con alleati impresentabili in nome del male minore e del cosiddetto senso di responsabilità, e per questo è stato scorticato vivo a ogni necessario compromesso.

Chi non ha votato PD per dargli una lezione, o perché legittimamente insoddisfatto della sua linea politica, ha deciso consapevolmente che questa fosse la priorità rispetto a tutte le altre: sapeva cosa c’era in gioco. Magari ha anche fatto bene, eh: però sapeva qual era l’alternativa al “male minore”. Di nuovo: niente che non fosse evidente prima del voto.

Mentre noi decidiamo che la cosa più importante in base a cui orientare il nostro voto a queste elezioni, queste con i matti al 50 per cento dei sondaggi, sia dare una meritata lezione al Partito Democratico, qualcuno nei prossimi anni se la vedrà molto male. Questo è ricattatorio!, mi ha scritto qualcuno. E certo che lo è. Ma non è mica un ricatto che vi sto facendo io. È come quella vecchia storia per cui non si dovrebbe trattare con i terroristi. Certo che non si dovrebbe. Però l’ostaggio c’è. L’ostaggio siamo noi, anzi: soprattutto i più deboli di noi. Qualcuno ci andrà di mezzo, sempre che il PD apprenda la lezione. Siate ben consapevoli del costo di questa scelta “punitiva” contro l’unico partito normale. Se no qualcuno ci andrà di mezzo per niente.

Per cui, ecco, innanzitutto delimitiamo i confini di questa discussione: ci sono circa 7,5 milioni di persone che possono chiedere al centrosinistra di sostenere un governo del Movimento 5 Stelle in nome del “male minore”, e sono quelle che lo hanno votato. Non le altre, che hanno già mostrato di avere legittimamente altre priorità. A quei 7,5 milioni di persone suggerirei però di cogliere il messaggio degli elettori, che non avrebbero potuto dire in modo più chiaro che non vogliono più il centrosinistra al governo, e che c’è un limite oltre il quale contraddire la volontà popolare – anche in nome delle migliori intenzioni – significa disprezzarla, e produce nel lungo periodo danni davvero irreversibili.

Perdere le elezioni dopo sette anni al governo non ha niente di sorprendente e irreparabile, e sette anni al governo con alleati impresentabili sono abbastanza. Oggi il Partito Democratico ha bisogno di mettere un punto, ragionare su questi anni e rinnovarsi profondamente, invece di cristallizzarsi come farebbe restando al governo: questo vale naturalmente anche per il suo segretario Matteo Renzi, che avrebbe dovuto dimettersi subito, interrompere la sua colpevole catena di errori politici – ricandidarsi sarebbe tragicomico – e prendere una Tesla diretta verso Marte. Se il PD tornerà in mano ai “caminetti” o farà scelte politiche autolesioniste, non è più affar suo: e anzi sarebbe saggio se il PD – qualora dovesse ricevere una proposta seria di compromesso da parte del Movimento 5 Stelle: questa non lo è – consultasse i suoi iscritti per decidere cosa fare, prima di aprire una più lunga fase congressuale. Ora tocca a qualcun altro, sia alla guida del PD che alla guida del paese: giusto o sbagliato, le elezioni davvero non avrebbero potuto indicarlo in modo più chiaro, e le elezioni si fanno proprio per questo. Speriamo bene per tutti.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).