Vorrei pensarla come Speranza, ma cosa pensa Speranza?

Nel momento in cui Roberto Giachetti ha detto che «Roberto Speranza ha la faccia come il culo», ha ottenuto due cose in contraddizione tra loro: ha fatto sì che si parlasse ovunque del suo intervento all’assemblea nazionale del PD, che riguarda un punto politico fondamentale per quel partito, ma ha ottenuto anche che quel punto politico venisse liquidato dal giudizio su quella frase sgradevole. L’intervento di Giachetti invece meriterebbe di essere ascoltato per intero.

Il problema è che un argomento pre-politico come quello della «faccia come il culo» nasce proprio dall’impossibilità odierna di fare un discorso politico con un pezzetto del Partito Democratico, che da anni fornisce l’impressione di orientare le proprie posizioni e decisioni in base a un unico impudente desiderio: fottere Renzi. Oppure, per usare una citazione e dirla in modo più urbano, «assestare colpi che lascino il segno». Sia chiaro: non è che Renzi ha perso il referendum costituzionale per via di questo pezzetto di PD. Non lo dice Giachetti, non lo dice Renzi, non lo dice nessuno che abbia una qualche percezione del consenso popolare di Speranza, D’Alema e Bersani, che non è esattamente trascinante. Ma è un punto la cui discussione è inevitabile in un partito in cui fino a qualche anno fa si venerava la disciplina in nome del cosiddetto «affetto per la ditta», mentre oggi si vede tirare tutta un’altra aria.

Roberto Speranza nel dicembre 2013 diceva che «superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari e nuova legge elettorale sono priorità non più rinviabili», e ad aprile 2014 che «se si andasse alle urne con un Senato che dà ancora la fiducia al governo, e ancora composto da 315 persone, saremmo al fallimento della politica e dei partiti». Nel giugno del 2014 Speranza diceva che «il Senato, con l’elezione indiretta dei 100, mi convince», cosa che ribadiva a marzo 2015 spiegando che «il Senato elettivo o non elettivo poteva essere una scelta, noi abbiamo fatto quella del Senato non elettivo con un modello abbastanza particolare, ma anche grandi paesi come la Germania e la Francia, pur con modelli diversi, hanno scelto un Senato non elettivo». Poi improvvisamente il Senato non elettivo non è andato più bene, il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari non sono stati più priorità non rinviabili, e tornare a votare con l’attuale Senato è diventato non solo accettabile ma giusto e necessario.

Sul Mattarellum, Speranza nel 2013 fu quello che si diede da fare più di tutti per fermare la mozione di Giachetti: era quello che “guidava la fronda anti-Mattarellum“; oggi dice che il Mattarellum è la sua proposta. Sull’Italicum, poi, quel pezzo del PD ha chiesto e ottenuto, nel tempo, di alzare due volte la soglia necessaria per evitare il ballottaggio (dal 35 al 37 al 40), dicendosi favorevole al premio per chi vince il ballottaggio; di abbassare le soglie di sbarramento per entrare in Parlamento; di introdurre le preferenze per tutte le candidature escluse i capilista; di far valere l’Italicum solo per la Camera e non per il Senato (si chiamava “emendamento D’Attorre“: ora sapete chi ringraziare), legando le due riforme salvo poi parlare di “combinato disposto” (il problema era che non volevano rischiare di andare a votare, visto che le liste parlamentari del 2013 le aveva composte Bersani); di inserire una norma sull’equità di genere delle candidature; di abolire le candidature multiple (eccetto per i capilista, e solo in 10 collegi su 100). Alla fine non è andato bene neanche questo. Peccato, perché in altri momenti da quelle parti il pragmatismo non è mancato. Era il 2013.

Ora. La sensazione è che Speranza sia il giovane simulacro di qualcun altro, un’anziana generazione politica, fallita e sconfitta, che ha visto l’ascesa di Renzi come un’usurpazione personale e che ha orientato ogni sua azione in base all’unico scopo di farlo fuori, anche contraddicendosi da un giorno all’altro. È un obiettivo legittimo, ma varrebbe la pena di essere discusso per quello che è: questo è. Il problema, insomma, non è che chi la pensa come Speranza non debba trovare posto nel PD. Il problema è: cosa diavolo pensa Speranza? >>>ANSA/PD: SPERANZA E ZANDA CAPIGRUPPO CAMERA E SENATO

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).