Carceri, amnistia e indulto: le FAQ

Metto insieme un po’ di cose che ho scritto in questi anni sull’indulto, l’amnistia e le carceri, insieme a delle altre nuove, visto che il messaggio di Napolitano ha fatto tornare la questione d’attualità (per dieci minuti). Lo faccio per quella persona su cento che non esclude ogni tanto di cambiare idea, consapevole che avrà l’utilità di un cucchiaio davanti all’oceano. Le affermazioni in neretto sono scelte tra quelle più comuni che mi sono state rivolte discutendone su Twitter.

Perché ne stiamo parlando?
Perché in Italia le carceri potrebbero contenere al massimo 47.615 persone e invece ne contengono 64.758. Non è una novità, è così da molti anni, siamo ai confini della capienza considerata “tollerabile”, quella oltre la quale non c’è più spazio nemmeno per terra, oltre la quale è impossibile stipare altra gente. Chi è riuscito a girare dei video in circostanze del genere – cosa non semplicissima – ha mostrato situazioni che si possono definire pacificamente tortura: celle in cui si sta in piedi a turno, con 50 teorici centimetri quadrati di spazio a persona (la Corte di Giustizia Europea dice che è tecnicamente tortura se sono meno di 7 metri quadrati), un bagno da condividere in 15 nella stessa stanza in cui si dorme, celle senza finestre e in condizioni igieniche terrificanti: e persone che restano lì per anni, anche in attesa di processo, e infatti si suicidano a un tasso enormemente superiore a quello di chi sta fuori. L’Italia è stata più volte rimproverata e sanzionata dalle istituzioni internazionali per lo stato delle sue carceri e lo scorso gennaio è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo.

Cosa ha proposto Napolitano?
Napolitano ha chiesto di fare qualcosa, che è il massimo che può fare. Ha proposto misure che avrebbero efficacia nel medio e lungo periodo, come l’introduzione progressiva di meccanismi di “messa alla prova”, l’introduzione di pene limitative della libertà personale ma “non carcerarie”, la riduzione dell’uso scandaloso della custodia cautelare, l’aumento della capienza delle carceri, la depenalizzazione di certi reati che non dovrebbero richiedere necessariamente la detenzione. Niente di tutto questo migliorerebbe però la situazione nel breve periodo e per questo Napolitano ha proposto anche un’amnistia e un indulto. L’indulto comporta l’estinzione di una parte della pena detentiva – non quelle accessorie – ed è generalmente limitato ad alcuni reati non particolarmente gravi. L’amnistia invece estingue il reato, sempre generalmente limitata ad alcuni reati non particolarmente gravi, e serve anche a evitare che dopo l’indulto si celebrino migliaia di processi inutili.

Ma l’indulto e l’amnistia non sono una soluzione!
Questo non lo dice nessuno. Liberiamoci di questo argomento: nessuno pensa che amnistia e indulto siano la soluzione. Nessuno. Ma servono. Indulto e amnistia servono a sanare temporaneamente una gigantesca violazione della Costituzione, dei diritti umani e della certezza della pena, che ha generato un’emergenza umanitaria e una montagna di sofferenza. Poi certo, da soli non risolvono il problema, bisogna fare anche altro. E quindi? Si chiama riduzione del danno. Mandare aiuti umanitari in Africa costa molti soldi e non risolve il problema della fame del mondo, sono pannicelli-caldi: quindi non ne mandiamo più? Avere un corpo di polizia costa molti soldi e non risolve di per sé il problema della criminalità: quindi lo sciogliamo? La legge 194 non risolve di per sé il problema degli aborti clandestini: quindi la aboliamo? Questo approccio ci sembrerebbe illogico se lo applicassimo a qualsiasi altra cosa che non siano le carceri. Per molti è semplicemente un alibi.

E dove va a finire così la certezza della pena?
Innanzitutto un dato: per il 38 per cento delle persone che si trovano nelle carceri italiane non c’è nessuna pena. Sono detenute in attesa di processo: sono tecnicamente innocenti, i dati dicono che moltissime alla fine saranno riconosciute definitivamente innocenti. Il tutto avviene a causa di un abuso della custodia cautelare enorme e ingiustificato.

Ma torniamo alla certezza della pena. La certezza della pena non è solo quella che piace a te. L’articolo 27 della Costituzione, per esempio, è inequivoco e va preso alla lettera: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Non è che la mattina la Costituzione è sacra, è la “bibbia laica” per cui si sale sui tetti della Camera, e il pomeriggio la si ignora. Inoltre il principio della certezza della pena va a farsi benedire già nel momento in cui le persone detenute sono costrette a scontare torture a cui nessuno le ha condannate: dormire per terra a due passi dal cesso, vivere in sei in tre metri quadrati in agosto senza finestre, convivere con ratti e scarafaggi, eccetera. Siamo già oggi, e da anni, prima di qualsiasi amnistia e indulto, in circostanze di clamorosa e sistematica violazione della certezza della pena. La certezza della pena è anche la certezza di un trattamento umano, come quello teoricamente disposto dal giudice; ed è anche la certezza di potere usufruire, quando è il caso, di strumenti come indulto e amnistia che sono previsti, regolati e legittimati dalla legge e dalla Costituzione.

Così aumenta la criminalità per le strade.
L’argomento in sé ammette parte del problema – ammette cioè che in questo momento, nelle condizioni in cui si trovano, le carceri italiane sono un luogo criminogeno, che produce insicurezza e non sicurezza – ma è scivoloso. Sì, capita che chi esca dal carcere delinqua di nuovo, sia recidivo. Capita sia a quelli che escono per l’indulto sia a quelli che escono a fine pena: che facciamo, non facciamo uscire più nessuno? Ma aspetta, abbiamo dei dati. Stando ai dati dell’Ufficio Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, delle persone scarcerate alla fine naturale della pena il 68,45 per cento torna in carcere una o più volte nell’arco dei successivi sette anni. Delle persone uscite dal carcere grazie all’indulto, quelle che sono tornate a delinquere sono il 33,92 per cento. Sono dati tutt’altro che sorprendenti, la tendenza è nota da tempo. E la ragione non è così misteriosa, essendo provata da centinaia di dati e di studi: e c’entra col fatto che il carcere è un luogo di tortura. Per dirla con le parole di Luigi Manconi: “scontare la pena in condizioni meno afflittive e meno disumane può contribuire alla riabilitazione sociale (e a non reiterare il reato)”.

Lo dici perché sei ricco e fortunato e non ti è mai capitato niente.
Questa è bella. La risposta istintiva è: e tu che ne sai? Sei davvero sicuro di cosa mi è capitato e di cosa non mi è capitato? E se ti sbagliassi? Come ti sentiresti se non fosse come dici tu? Ma in realtà la risposta giusta a questa obiezione è un’altra: è che non siamo più nel Medioevo e che non dovresti misurare tutti col tuo metro. Ci sono anche persone, un sacco di persone, che non pensano che essere vittima di un reato attribuisca un particolare valore alle proprie opinioni sulle condanne dei responsabili: che sanno distinguere tra i propri sentimenti personali di eventuali vittime e quello che dev’essere giusto in uno stato di diritto.

Ma perché ne parliamo adesso? Tutte queste chiacchiere e invece è evidente che lo facciamo per Berlusconi.
Forse tu te ne accorgi adesso ma questa è una storia di cui si parla da anni. Lo stesso Napolitano ne ha parlato decine di volte. Sul fatto che “lo fanno per Berlusconi” dovrei rispondere che Berlusconi per legge non andrà in carcere, dato che ha più di settant’anni; che l’indulto non si applica alle pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici; che l’amnistia storicamente non si applica ai reati fiscali e finanziari. Se il “tempismo” fa qualche differenza, la differenza è sfavorevole a Berlusconi che nel frattempo è stato condannato. Ma il punto non è questo. Il punto è che io non credo ci sia davvero qualcuno che sia teoricamente favorevole a indulto e amnistia per fermare le torture contro 64.000 persone ma che non può accettarli perché questo eventualmente avvantaggerebbe Berlusconi, che comunque in carcere non ci andrà mai. Evidentemente sono contrari di fondo, per altri motivi, magari quelli di cui sopra. Non si può essere livorosi e vendicativi al punto da non applicare in un momento di emergenza uno strumento che si ritiene giusto per decine di migliaia di persone, in ragione del fatto che forse ne godrà una.

O almeno io preferisco pensare che sia così.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).