La Vigilanza RAI deve sciogliersi

Sull’altare dell’ultima penosa vana lottizzazione Rai esplode il più grave conflitto istituzionale della legislatura: e pure ne sono successe, di cose, in questa legislatura… Scatta implacabile la legge della Seconda repubblica, durante la quale si sarebbe potuta rovesciare l’Italia (non che qualcuno ci abbia davvero provato), ma mai si sarebbe potuta toccare una pagliuzza del duopolio televisivo. Ci va di mezzo una volta di più il parlamento, a difesa del quale negli ultimi tempi il personaggio del momento, il presidente Schifani, ha pronunciato solenni e insinceri proclami.

A questo punto, invece di perdere il tempo e la faccia nel tentativo di eleggere personaggi più o meno estemporanei nel consiglio d’amministrazione della Rai, la commissione parlamentare di vigilanza dovrebbe compiere un gesto certo eccezionale, ma più utile: autosciogliersi. Mettere fine a un calvario che umilia anche coloro che vi partecipano. Prendere atto – e dichiarare – che l’epopea delle nomine politiche e partitiche non solo è diventata insopportabile per i cittadini, ma è ormai impraticabile e penosa per gli stessi che dovrebbero procedere.

Non è da oggi, che questa crisi irrimediabile è sotto gli occhi di tutti. Senza tornare troppo indietro, già la farsa della vicenda Villari sarebbe dovuta risultare definitiva. Una volta, un secolo politico fa, la lottizzazione nel servizio pubblico seguiva delle regole sue, in un certo senso oliate e riconosciute. Non faceva il bene della Rai, ma garantiva delle procedure e un esito. Talvolta, non spesso, perfino un buon esito. Ormai non ce la fanno più. Parlamentari che non seguono gli ordini di scuderia e devono essere cacciati d’autorità violando prassi, regola e onore. Partiti che si tirano indietro e fanno posto a indicazioni della “società civile” a loro volta frutto di misteriosi percorsi. Sabotaggi di gruppo. Votazioni a oltranza. Nomi di persone perbene silurati da veti incrociati.

La Rai è diventata il paradigma di come al concetto di “servizio pubblico” non possa più corrispondere quello di “servizio controllato dal parlamento”. Una simile vicenda non ha alcunché di pubblico, è privatissima. Il nodo non si può sciogliere. Va tagliato, anche perché nel frattempo i conti dell’azienda collassano (in parallelo con l’indebitamento di Mediaset, che è poi l’unica vera ragione del “generoso” sostegno di Berlusconi al governo).

La Rai va posta sotto commissariamento e la sua essenza pubblica va garantita in altre sedi, ricorrendo ad altri poteri, ricostituendo ex novo in parlamento un luogo di discussione e (appunto) di vigilanza. La commissione attuale nella sua veste di comitato elettorale è solo un’altra penitenza che i partiti impongono a se stessi. Per cosa, poi, visto che i consiglieri che (non) eleggono avranno poteri enormemente limitati?

Se questo sussulto di dignità in Vigilanza Rai non venisse, e se la situazione rimanesse il pantano che è, sarebbe giusto rilanciare la palla a Garimberti e agli attuali prorogati e impotenti consiglieri d’amministrazione Rai. Da Europa (il giornale che dirigo) glielo abbiamo già suggerito, con risultati pari a zero: si dimettessero loro, lasciassero viale Mazzini priva anche di questa parvenza di governo. Diventerebbe obbligatorio per Monti dare corso a un atto di imperio che ormai molti, compresi alcuni fra gli stessi commissari della Vigilanza, gli chiedono.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.